Ero piccolo, e non capivo granché di politica. Guardavo le vignette di Forattini, su Repubblica. E cercavo di capire chi fossero quei signori anziani che vi erano ritratti. Mi piaceva soprattutto Longo, il socialdemocratico, nelle fattezze di uno scimmione con gli occhiali. Non mi piaceva Craxi, già allora, per via degli stivali e del tratto volitivo. Che allora non lo sapevo, che cosa volesse dire volitivo.
Poi una sera si seppe che una di quelle figurine (proprio come quelle dei Mondiali di due anni prima, che raccoglievo d’estate, sognando Paolo Rossi e quel centrocampista che si chiamava Tardelli) si era sentito male, su un palco, a Padova. Cioè allora non lo sapevo mica che era a Padova. Ma a casa sembrava drammatica, questa notizia, come poche altre.
Mia madre, allora, il Pci lo votava (votava anche il Psiup, e le piacevano gli indipendenti, del Pci), mio padre preferiva i Repubblicani di La Malfa. Che oggi, a ripensarci, avremmo tanto bisogno anche di loro. Che sembra strano, ma anche quello è un problema generazionale.
Però, io mi spaventai, e per la prima volta, pensai alla morte come se fosse un fatto presente. E pensai che potevo morire anch’io, sul serio. E che insomma era un fatto che cambiava le cose, quella vicenda che moriva un signore su un palco. Un signore amato, prima di tutto per via di quel viso e di quelle parole, che uscivano dalle tv con giri larghi e lunghi pensieri.
Dopo tanti anni, mi è capitato mille volte di pensarci, e di leggerne e di scriverne. Trovai notevole un libretto di D’Alema che parlava di un viaggio a Mosca (a cominciare da una straordinaria citazione di Gadda, posta all’inizio del testo). E mi colpiva ogni volta questo tentativo di dire che sì insomma Berlinguer, però non aveva capito Craxi, detto da gente che guidava la nuova sinistra italiana. Che secondo me era un merito, altro che storie. E che la nuova sinistra italiana ci avesse capito poco, di quella storia. E anche di altro, per altro.
E mi sono ritrovato a pensarci oggi, mentre commento le battute-che-intristiscono di Formigoni sulle Botteghe Oscure. Mentre penso alla legalità, che sembra espunta dal dibattito politico, perché se ne deve occupare la magistratura (e lo pensano anche i nostri, sic). E penso alla crisi della politica, che le parole di Berlinguer sono precise anche oggi e molto più dense di come vengono trasferite al “grande pubblico”. E al senso da ritrovare, con un grande progetto collettivo, perché Berlinguer diceva, quando esprimeva un pensiero, «i comunisti pensano» o «sostengono» o «intendono». Che si capiva che voleva dire «noi comunisti», mentre a noi manca il noi. E ci manca più dei comunisti, anche se lui ce lo riprenderemmo subito.
Questione di umanità, sapete, prima di tutto. Perché l’umanità non esclude, ma comprende, l’intelligenza, lo studio, la fatica. E l’averci pensato, alle cose, in profondità.
Quel volto, quella cultura, quella dimensione, non sono più tornate. Se non a tratti, forse, in una notte del 1996, quando si vinsero le elezioni (forse l’unica volta). E in mille sguardi che ancora si incontrano, in giro per il Paese, di persone che sono credibili perché, semplicemente, ci credono. E perché hanno una storia. Hanno una politica.
Nessuna nostalgia e, insieme, tutta la nostalgia del mondo. Quella sera, feci fatica ad addormentarmi, e mia madre mi rassicurò. E però alla fine le rassicurazioni, quelle politiche, intendo, non le abbiamo ancora trovate. E tutto è diventato più misero. E più corto. E stretto.
E ci manca, Berlinguer, anche se eravamo troppo piccoli. Anche se ce lo hanno raccontato in modo parziale e impreciso. Però, sapete, ci manca davvero.
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