So già che qualcuno penserà: la solita esterofilia, l’andar cercando modelli fuori dai confini italiani per darsi un tono. Infatti è proprio così: a me Rodriguez Zapatero piace un sacco. E la lettura del volume dal titolo (di per sé già strepitoso) Zapatero. Il socialismo dei cittadini mi ha confortato in questo mio giudizio, maturato anche – ove ve ne fosse bisogno da un soggiorno in Spagna durato qualche mese. Il testo, pubblicato da Feltrinelli, curato da Marco Calamai e Aldo Garzia, è consigliato a tutti gli appassionati di politica. I motivi sono tanti. A cominciare dallo slogan, No nos falles, non ci deludere, che fa segno a quella coerenza (etica!) nel rispetto del programma elettorale che ha sorpreso tutti in Europa. E poi i riferimenti politico-culturali, a partire dal Pettit e dal suo repubblicanesimo, che Zapatero ha scelto come linea guida della sua cultura di governo. E, ancora, le scelte radicali eppure sempre illustrate razionalmente, coraggiose ma mai avventate, rispetto all’Iraq, ai diritti civili, alla riforma della cultura politica spagnola, alla memoria e alla sua importanza per l’identità di una nazione (soprattutto quando essa è così articolata, come quella spagnola). Colpisce la chiarezza dell’analisi del “quarto pilastro” dello Stato sociale, le persone dipendenti e non autosufficienti. Colpisce la volontà di dare voce alla questione femminile, troppo spesso banalizzata, ridicolizzando in un colpo solo tutti i nostri lunghi e spesso ipocriti dibattiti sulle quote rosa (nel governo Zapatero, come noto, il rapporto uomo-donna è di uno a uno). Colpisce la scelta – praticata, non annunciata – di investire sul futuro ma nel presente, portando giovani e giovanissimi ad occupare posizioni di governo da noi raggiungibili solo molto, ma molto tardi (Zapatero stesso entrò alle Cortes a 26 anni). A ben vedere anche la proposta di un dialogo di civiltà (che per altro è troppo il rovescio dello scontro di cui parla Huntington per convincermi del tutto) è il segno di una prospettiva che sa guardare al di fuori dei confini nazionali, inverando una missione – un tempo coloniale, ora di pace e di apertura – che la Spagna vuole tornare a svolgere, nei propri rapporti con l’America Latina, innanzitutto, e con il Sud del mondo nel suo complesso. Ciò che però mi ha più colpito è quello stile, che non è solo galateo o buona educazione, che permea di sé la cultura politica di Zapatero e del suo governo. Mi affido alle sue parole: «Penso che le persone che meglio sanno esercitare il potere sono quelle che non lo amano, non lo rincorrono con ansia, non sentono nei suoi riguardi un attaccamento insano, ma quelle che lo vogliono usare per cambiare le cose»; «Credo che la sinistra non vince quando non è autentica. E l’autenticità comporta prima di tutto la realizzazione degli impegni presi e il non cercare pretesti di stato per non fare le cose»; «Il socialismo dei cittadini si preoccupa intensamente di cercare nuove vie di dialogo con la società e di aprire gli orizzonti alla partecipazione politica» e «non teme la voce dei cittadini, teme la voce della tribù o la voce della razza». Una prospettiva politica in cui è semplice e bello riconoscersi.
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