«Aveva sempre confuso il silenzio con il freddo». Inizia così, con una figura straordinaria, superata soltanto dalla bambina che trattiene i ‘pezzi’ delle persone a cui vuol bene, il romanzo di Dario Franceschini Nelle vene quell’acqua d’argento, Bompiani. E’ un libro che non esito a definire molto bello, che si legge d’un fiato eppure lentamente, come se la lettura richiamasse il corso dell’acqua del grande fiume nel rappresentare la malinconica serenità della scansione dei ricordi di Primo Bottardi, il protagonista. Franceschini trasferisce Macondo in provincia di Ferrara e sembra richiamare il «grande pesce» di Daniel Wallace e Tim Burton, lo storione-metonimia che accompagna la storia di Primo, nel riassumere, del fiume, la portata smisurata di favole e di immagini, di memoria e di oblio. E allora ci sono i libri da lasciare in libertà, la macchina per registrare gli odori, la nebbia fitta che solo le donne sanno interpretare e l’amore degli ultimi giorni d’estate. Ed è lo stesso amore a ritornare, alla fine di questo libro, con la «felicità quieta della tenerezza» della storia delicata che Franceschini ci racconta, insinuando quell’acqua d’argento anche nei nostri pensieri.

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