Bellissimo l’articolo di Marco Revelli su Left, dedicato al voto piemontese. Un’analisi della sconfitta dell’Unione, che aveva 50mila voti in più nel 2005, e si è ritrovata – amaramente – sotto di 30mila il 9 e 10 aprile. E’ il secondo Piemonte a decidere: come nelle province lombarde il distacco tra Cdl e Unione oscilla tra i 14 e i 5 punti percentuali. Il dato di Torino (città +10%, provincia + 9% per l’Unione) non è stato sufficiente a rovesciare il risultato. Per Revelli si impone, nel Piemonte profondo (ma vale anche per le nostre città della provincia lombarda) «il senso di un “personalismo” senza persone» fatto di «di voglia di affermarsi, e sopravvivere al declino degli altri, e cavarsi fuori dalla sacche di uno stato sociale in cui non credono più (o forse non vi hanno mai creduto) e che vivono come grigio, come opprimente, come “noioso”». Un ceto che non è più un ceto, che è piuttosto un sentimento, trasversale alle vecchie classi sociali, che rappresenta, secondo Revelli, «un capitalismo personale che tuttavia non si vive con la tranquilla sicurezza che fu della grande industria fordista e dei suoi capitani, ma anzi intuisce la propria fragilità. La propria tendenziale volatilità. Il carattere effimero del proprio successo e della propria ricchezza». Ispirati da un individualismo incattivito e spaventato, sono tanti gli elettori del Nord che reagiscono alla loro precarietà e all’insicurezza richiamandosi a riferimenti ancestrali, ben sapendo che Berlusconi non è la “risposta”, ma che li rappresenta perfettamente. Revelli non lo dice, ma ci vuole un riorientamento profondo della politica del Nord per rivisitare un modello che risponde al declino con la chiusura, con riflessi difensivi, con l’incapacità di pensare al futuro. Forse il tema più importante per l’Ulivo e per l’Unione, dalle nostre parti, nei prossimi anni.
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