In Catalogna il referendum sul nuovo Statuto ha visto una clamorosa affermazione del sì (sopra al 70%) e un’affluenza al voto non eccezionale, ma di poco inferiore al 50%. La Lega in Italia fa proprio il risultato, segnalando affinità che non vi sono con il referendum costituzionale di domenica e lunedì prossimi. La Catalogna, dice Maragall, il suo presidente socialista, ha parlato chiaro. Ha votato a favore del testo approvato dal Parlamento nazionale – in una versione edulcorata rispetto allo statuto approvato dal Parlamento catalano in prima istanza – ottenendo una maggiore autonomia finanziaria (sull’Iva e sull’equivalente dell’Irpef, dall’attuale 35 al 50%), il riconoscimento – ancorché per certi versi ancora parziale – di nazione. In uno schema che il governo Zapatero ha sostenuto fino in fondo, credendo che possa costituire la base per la riforma degli statuti delle altre autonomie che compongono lo stato spagnolo, al termine di un processo costituzionale iniziato nel 1978. Ecco la vera differenza con quanto sta accadendo in Italia: non solo la Padania non può essere paragonata alla Catalogna (banalmente: non è una nazione); non solo nel nostro, di referendum, non si parla di federalismo fiscale, ma di formule astruse; ma c’è un punto ancora più decisivo: il percorso di riforma è progredito in Spagna da lungo tempo, sulla base di scelte condivise dal governo centrale, in un equilibrio di poteri che cerca di rappresentare al meglio la società e le sue articolazioni. In Italia con la devolution succederebbe esattamente il contrario. La Catalogna ha parlato chiaro. Lo faccia anche l’Italia, con un voto chiaro, per far ripartire la stagione delle riforme da un presupposto diverso e più serio di quello che ci viene proposto. Votate ‘no’.
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