Qualche giorno fa, alla vigilia della partita con il Ghana, Del Piero si paragonava ad Achille: «Sono stato in silenzio perché spesso mi ritiro sulla collina a riflettere e concentrarmi proprio come faceva Achille…». Stizzito, ricordava di non dover dimostrare ancora chi è: «Totti è al 70 per cento? Con lui nessun dualismo, ma io sono al cento per cento ed ho dimostrato abbastanza». «Proteggerò il mio tallone nella maniera più adeguata, questo è un momento di passaggio. Mi sono fermato a riflettere su questo mondiale: ho pensato a quando ho iniziato, allo spirito con cui ho iniziato e poi a quello che sono diventato, all’uomo che sono. Questo mondiale non segna una svolta, ne ho fatte tante nella mia carriera. Questo mondiale deve essere un punto di congiunzione fra quello che ero e sognavo e quello che ora sono». E’ curioso che Achille, anziché nella tenda omerica, sia costretto a meditare in panchina. E ancor più curioso è pensare che la stessa immagine l’ho adottata nel mio piccolo romanzo delpieriano. In cui si precisava che il vero tallone di Achille, e di Del Piero, e di ciascuno di noi, non è chissà che, ma semplicemente il modo con cui si vivono le cose. E che vale la pena di fermarsi a pensare, evitando di enfatizzare quelle che ci sembrano ‘svolte’, per comprendere cosa succede davvero e per capire se quello che pensiamo o sogniamo di essere abbia riferimento con la realtà. Poi si può tornare a giocare, come succederà a Del Piero. Perché si riesca a fare il gol che è mancato e finalmente segnare nelle porte Scee dei Mondiali di Germania.
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