Hannah Arendt diceva che i ragionamenti troppo coerenti, in cui tutto si dimostra con precisione eccessiva, hanno il sapore acre dell’ideologia e, talvolta, del totalitarismo. In Lombardia, invece, si segnalano le espressioni inutilmente enfatiche, che nascondono il più classico dei cialtronismi politici. Dopo cinque mesi di capricci, Formigoni torna in Regione e si produce in un rimpasto di giunta che ha dell’incredibile. A metà strada tra il Cencelli e la Fiera dell’Est, Formigoni saluta Bernardo che va in Parlamento, collocando al suo posto Buscemi, già assessore alla protezione civile, e, al posto di Buscemi, inserisce Ponzoni. Guglielmo va a presiedere una fondazione di nomina regionale, al suo posto Rossoni, mentre Pagnoncelli lascia l’artigianato e va all’ambiente, scambiandosi il posto con Zambetti, che dall’ambiente va all’artigianato. Albertoni diventa presidente e lascia il posto a Zanello che avrebbe voluto fare il presidente al posto di Albertoni e che, invece, al posto di Albertoni fa l’assessore alla cultura. Borghini diventa direttore generale di Letizia Moratti e Scotti dell’Udc prende il suo posto, sanando un conflitto che dura da mesi. Cattaneo da sottosegretario diventa assessore al posto di Moneta, per cui si è provveduto a trovare un posticino. Di fronte a questo spettacolo che ricorda – più che un elegante valzer – il gioco che si faceva da bambini con l’interruzione della musica a far sparire una seggiola dopo l’altra (ve lo ricordate?) o (ironia della sorte!) un girotondo della lottizzazione, Formigoni commenta così: "È iniziata una nuova stagione per la Lombardia. Non sono rimasto in regione per un semplice gesto di continuità. Voglio che la velocità aumenti e che si torni ai tempi eroici in cui la Lombardia combatteva contro tutto e contro tutti per affermare e per far trionfare una logica basata sulla libertà, sul diritto della persona e sulla sussidiarietà". Ninna nanna, ninna oh, questo posto a chi lo do? Lo darò a un assessore, con buona pace dell’elettore…

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