Gli storni. A parlarne vengono in mente i versi di Dante del V canto dell’Inferno ("E come li stornei ne portan l’ali…" e si tratta delle anime degli innamorati, per intenderci, sballottate dalla bufera infernale, ma con similitudine astuta, che ci parla anche dell’innamoramento) oppure, più prosaicamente, le incredibili leggi regionali sulla caccia, che ci descrivono con precisione il numero di esemplari che possono essere abbattutti, giorno dopo giorno, dai cacciatori lombardi. Eppure qui in Fabio Filzi, dietro il Pirellone, dove da almeno un’ora non c’è più nessuno (se non il nostro addetto stampa, che scorre le agenzie in attesa come se si attendesse l’epifania del Vero…), gli storni si ritrovano al calar del sole. In un numero pazzesco, rincorrendosi nel cielo sopra Milano e rendendo più agreste lo spazio non proprio bucolico che fa da cornice un po’ tetra alla stazione centrale. E sono una presenza dolce e gentile, nonostante il guano tipo Galapagos che si deposita sui marciapiedi. Ma, presso la sede dei cacasenno, anche queste deiezioni passano in secondo piano. Chissà se un giorno, una delegazione di storni riuscirà a raggiungere gli ultimi piani del grattacielo e spiegare che la natura è una cosa seria, da non dare troppo per scontata. E che ci mancherà, come gli storni che fra un po’ voleranno via. Dal Palazzo e dalla sua regione.

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