Dibattito in Consiglio regionale sul federalismo. Ettore Adalberto Albertoni, il Beniamino Franklin padano, si è prodotto in un discorso di straordinaria levatura, in cui tra l’altro emergeva un dato inconfutabile: il pratone di Pontida è ormai ridotto ad aiuola, ordinato e urbanizzato. Dopo anni di secessioni, Roma ladrona, celodurismi d’ogni sorta e un imprescindibile sdegno nei confronti del Mezzogiorno, ecco che alla Lega rimane uno svenevole federalismo e i suoi rappresentanti ammettono addirittura di trovare appassionanti le modifiche costituzionali introdotte dal centrosinistra nel 2001. Dopo il fallimento della devolution e la scoppola referendaria, c’è poco da fare per gli indomiti padani, se non registrare un secondo – e tutto regionale – fallimento: non avere approvato, da cinque anni a questa parte, uno Statuto nuovo e autonomista, capace di rappresentare le esigenze dell’esigentissima Lombardia indipendente e capace di fare da sé (capita anche al Veneto di non avere lo Statuto rinnovato, e pensare che era la patria della Liga e delle scalate al Campanile con improbabili truppe e curiosi cingolati). Ormai, gli irriducibili della Lega ammirano un paesaggio marziano: brullo e spoglio e per di più rossiccio, senza neanche un focolaio di rivoluzione fiscale, senza nemmeno poter celebrare un tricolore appeso al cesso, perché ora l’Italia è "una e indivisibile". Albertoni si abbandona a toni di nostalgia e di contrita autocritica: arriviamo per ultimi con lo Statuto – ammette – così abbiamo la possibilità di imparare dagli errori degli altri. Marte sarà padana (o viceversa)!.
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