Allo zenith ghiacciato del mondo e della vita, i gemelli Fahrenheit

Prendete un titolo strepitoso, una quarta invitante, un autore che di solito non delude e troverete il più bel racconto degli ultimi tempi. I gemelli Fahrenheit all’interno dell’omonima raccolta di racconti. L’autore è Michel Faber, l’editore è Einaudi. I due bambini protagonisti – che ricordano quelli di Agota Kristof ne La città di K – ci fanno ricordare che un tempo sapevamo soltanto che la nostra «era una vita beata. E perciò lo era». Candida come la tundra e al pari di questa «identica in ogni direzione», senza orari («nel crepuscolo artico pressoché perenne non vigeva la regola di rientrare al tramonto»), senza regole, se non quelle minime, inevitabili. E poi, le cose cambiano, un giorno, senza un perché. E ci tocca crescere, affrontare nuovi problemi, proprio come i Fahrenheit, che cercano di non perdere quella sensazione di unicità e di intimità che lega alle cose quando si è bambini. Bambino e bambina, i Fahrenheit, a cui ti affezioni immediatamente, cercano di non distinguersi in uomo e donna, temendo, più che la separazione, la diversità (che forse, a guardare bene, sono la stessa cosa). E, in lutto, in viaggio verso una spiaggia e verso un orizzonte sconosciuto, e al ritorno da questi, la vita cambia. La vita inizia.

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