Scrive Veltroni nell’introduzione a Barack Obama, L’audacia della speranza, Rizzoli, nella prima introduzione che è anche un’autobiografia (Veltroni, insomma, parla di Obama, ma pensa a se stesso): «è in questo lungo e profondo solco che si muove Barack Obama, che non perde nulla della storia alla quale appartiene e al tempo stesso ha la particolare capacità di non restare fermo agli schemi classici, di portare il suo sguardo anche a chi pensa diversamente da lui, a chi viene da un’altra cultura e ha posizioni differenti dalle sue. […] Sono convinto che soprattutto oggi la politica debba essere veloce e aperta com’è la società, e debba coltivare l’ambizione di conquistare non le “casematte” degli interessi particolari […], ma il “mare aperto” di un’opinione pubblica nella quale convivono condizioni sociali diverse nel corso di una stessa vita, nella quale abitano più dubbi che certezze, più disponibilità che identità blindate». L’audacia della speranza di Obama, allora, fa segno a quel riformismo che è anche radicalità (e però «realismo delle soluzioni») che Veltroni ha illustrato a Firenze. Della biografia politica (di Obama, non di Veltroni) colpisce la schiettezza nel descrivere il proprio percorso, nell’affrontare le difficoltà e le sfide della politica, in un racconto che pare sincero e nobile mentre descrive l’esperienza di un politico che ambisce a diventare presidente degli Stati Uniti. Il «prezzo da pagare» di «una cronica irrequietezza», l’incapacità di apprezzare fortune e successi, la sorpresa per le sconfitte: chi li ha provati, si ritroverà nel libro di Obama. E ne apprezzerà la forza delle argomentazioni e la misura nel presentare se stessi e il proprio progetto di cambiamento. Di un sogno, quello americano, che deve essere nuovamente interpretato per essere fecondo per il mondo in cui viviamo.
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