E’ il titolo del bel libro che Enzo Argante (monzese d’adozione e caro amico) ha dedicato (alla figura e all’opera, potremmo dire) di Ermete Realacci (l’editore è Salerno, il costo – ‘sostenibile’ – di 12 euro). Un percorso, quello che Realacci attraverso Argante propone, ricco di suggestioni, dall’esploratore del Piccolo Principe a Bob Kennedy, da Langer a Garrincha, il calciatore che non aveva il ‘fisico’, ma il talento sì, che per Realacci è la miglior metafora per descrivere il nostro Paese. Realacci è un ottimista della ragione, si direbbe rovesciando il famoso assunto gramsciano: è cioè consapevole dei limiti strutturali che attanagliano l’Italia, ma anche gran conoscitore delle sue straordinarie potenzialità, nascoste nelle pieghe dei suoi territori e delle sue comunità. L’Italia c’è, dice Realacci: è necessario però indagarla a fondo, scoprendone le ricchezze sottovalutate e spesso dimenticate, rivelando – innanzitutto a noi stessi – quel tanto che c’è di buono nella nostra società e nella nostra economia. Realacci descrive un’Italia delle qualità, dei talenti, del modello di sviluppo avanzato, dei piccoli e medi centri che storicamente l’hanno fatta grande (non solo, quindi, delle piccole e medie imprese, come amo ricordare). Un’Italia, insomma, da interrogare e un’Italia che a sua volta interroga la politica, chiedendole un rispetto e un’attenzione che è spesso mancata, nei lunghi anni dell’eterna transizione dalla Prima alla Seconda Repubblica. Realacci, anche per questo, è nel Pd, con un programma di lavoro di ampio respiro e di grande concretezza. E con il bagaglio di una tradizione, quella ambientalista, che è diventata matura e pronta a contribuire al governo del Paese, offrendo all’Italia prospettive nuove: alla ricerca «non di nuove terre, ma di non più vedute parti del cielo», come scrisse un giorno un Garrincha di qualche tempo fa (Galileo Galilei, per la precisione).
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