Leggete Paolo Berizzi, Morte a tre euro. Nuovi schiavi dell’Italia del lavoro, Baldini Castoldi Dalai editore. La copertina è nera, come il lavoro di cui parla, come la disperazione che attraversa, come la realtà che descrive. E’ un’ombra che incombe su tutti gli italiani (brava gente? sì, ciao), quella del lavoro clandestino, sottopagato, senza diritti né compensi adeguati, in un mondo popolato di approfittatori, di caporali, di schiavisti, di negrieri. Sotto gli occhi di tutti: in piazzale Lotto come in piazzale Loreto, ovvero i posti più attraversati dai milanesi, a tutte le ore del giorno (e della notte), dove i caporali reclutano la manodopera come se fosse la cosa più naturale del mondo. Manodopera straniera, si capisce. Quando si parla di immigrazione, bisognerebbe avere rispetto per le vicende descritte da Berizzi, conoscerle, indagarle, considerarne la violenza e l’esasperazione a cui conducono. Le morti sul lavoro avvengono soprattutto in questo settore, sommerso, dell’economia nazionale. Soprattutto in edilizia, dove è più facile essere assunti senza contratto e farsi male o morire. Un dato che riguarda tutto il Paese, dal profondo Nord al profondo Sud, bene rappresentato nei tanti cantieri e nelle migliaia di piccole imprese italiane (ma anche nello scandaloso Ortomercato di Milano). Ieri leggevo su un giornale che se muore un operaio è colpa della Cina e delle tasse di Roma. Così commentava un esponente della Lega. Siccome hanno vinto, possono dire quello che vogliono. In realtà, il problema riguarda noi, direttamente, e interroga le nostre coscienze. Quando si parla di villette, ad esempio, è del tutto forviante tirare in ballo la globalizzazione. Semplicemente c’è qualcuno che non è pagato, che è costretto a lavorare come una bestia, che arricchisce qualcun altro alle sue spalle, per dare poi la casa alle nostre famiglie (più o meno) felici. Non dimentichiamolo. Il rispetto della dignità umana inizia proprio da qui.
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