Tra tre settimane il Pd sarà in piazza a Roma. Non si può mancare. E il motivo più forte e comprensibile (anche se a tutta prima paradossale) per cui non si può mancare è che le cose, per il nostro partito, non stanno andando come ci saremmo aspettati. Il tema della manifestazione, per quanto mi riguarda, è la presenza politica del Pd in un Paese che si sta thatcherizzando in modo violento, all’insegna di una lettura superficiale e sbrigativa dei processi di trasformazione della società, a favore del più forte. Dove è il Pd? E’ il caso di rispondere che c’è, che sarà a Roma un sabato di ottobre, e il resto dell’anno in ogni angolo del Paese. E’ il caso di dirlo, rischiando la banalità: il Pd finora ha risposto all’offensiva del governo senza quella determinazione e quella precisione che deve saper dimostrare, per tornare a giocare una partita alla pari con l’attuale maggioranza. Siamo minoranza, a volte troppo silenziosa, a volte inspiegabilmente incerta. Abbiamo subito troppo i ‘simboli’ del populismo della destra, abbiamo seguito le famose dinamiche interne fino ad incartarci, abbiamo burocratizzato l’attività di partito in un modo addirittura peggiore di quello dimostrato nelle precedenti esperienze politiche. Per tutte queste cose, che indurrebbero qualsiasi persona normale a starsene a casa, ad andare all’Ikea o al cinema, a visitare i parenti o a far serata con gli amici, dobbiamo essere a Roma. Per ricordare che è con la partecipazione di tutti, anche di coloro che sono lontani da Roma (lontani dagli occhi, lontani dal cuore?), che si costruisce una nuova speranza per l’Italia non (ancora) ridotta al berlusconismo. Noi ci dobbiamo essere. Per il Pd, ma anche (l’unico «ma anche» ancora sopportabile, in un’epoca di forti contrapposizioni) per noi stessi. Per dire «ci sono»: ci sono i democratici, insomma, nei tanti modi in cui si possono dire, e ci sono io. Ciascuno di noi, con le sue motivazioni e le sue aspettative. E ci sono i lavoratori, ci sono i cittadini, ci sono le speranze che sapevamo non potessero avere la scadenza dello scorso aprile. E’ l’ultimo treno, quello che parte per Roma, e che ci porterà, al tramonto, al Circo Massimo, alla fine di una giornata che mi auguro sapremo collegare direttamente alle primarie di un anno fa e alle sfide che ci attendono. In ogni parte del Paese. Per dire a tutti e, prima di tutto, appunto, a noi stessi: «ci sono». E c’è quell’Italia democratica in cui non abbiamo mai pensato di non poterci riconoscere.

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