Su Europa il vostro affezionatissimo interviene a proposito dei diversi «punti di vista» che si sono misurati sabato scorso in assemblea nazionale e in queste ore. Osservate e leggete con me:
«È un problema di punti di vista»: lo si dice spesso, ma mai come sabato lo è stato. Il punto di vista di chi voleva salvare questo Pd a qualsiasi costo (fino ad essere sospettato di voler salvare soprattutto se stesso) e quello, simmetrico, di quelli che chiedevano, a ogni costo, di cambiare passo. Per descriverli, questi punti di vista, è stata chiamata in causa l’antica contrapposizione tra antico e nuovo, tra “vecchi” e “giovani”: uno schema che conviene soltanto ai “vecchi” o a chi vuole difendere lo status quo, così come conviene soprattutto a questi ultimi parlare in continuazione di ricambio generazionale senza praticarlo, come se si trattasse di questione meramente anagrafica e non politica nel senso pieno del termine. Nessun conflitto, quindi, è quello che si chiede a gran voce, ma un confronto tra le generazioni, tra quelle diverse visioni, tra quelle percezioni della realtà che sono diverse tra destra e sinistra, ma anche all’interno del nostro partito. Che fatica a mettere a fuoco le questioni, forse perché «il dio acceca chi perde»; che fatica a trovare uno sguardo aperto sul mondo, perché spesso lo rivolge soprattutto al proprio ombelico; che fatica a guardare più in là del contingente, la stessa cosa che rimproveriamo alla destra. Chi non ha condiviso l’elezione di Franceschini – nei modi e nei tempi, prima ancora che nei contenuti – si trova in questa situazione. Sono migliaia le persone che chiedono un segnale di attenzione, che finora non è venuto. Persone che hanno sperato nel Pd e che forse ci sperano ancora. Persone del mondo della sinistra che non trovano più quello “sguardo”. Persone che non si sentono considerate, anzi: che pensano proprio di non essere viste. Chi protesta oggi non lo fa da oggi, o da sabato. Non urla, né sbraita, né appartiene alla categoria dei facinorosi. Appartiene alla categoria degli elettori, che andrebbe piuttosto rispettata. Scrive sul web, perché cerca quella relazione che è mancata e che difficilmente passa anche dalle sedi locali del Pd, dai circoli che conosciamo bene e che spesso provano quella stessa sensazione di lontananza e di abbandono. Hanno punti di vista diversi dal gruppo dirigente nazionale, ma altrettanto legittimi e curiosi di trovare – insieme, se è possibile – una soluzione. Massimo coinvolgimento degli elettori, si era detto, sui nomi ma soprattutto sulle cose? Non ce ne siamo occupati. Massimo decentramento e protagonismo dei livelli locali? Non abbiamo trattato l’argomento. Non è questione di morire democristiani (che per altro vorrebbe dire essere morti già, esaurite come sono le precedenti interpretazioni della società), ma di morire incapaci di parlare ai cittadini e di dare loro una rappresentanza. «O si cambia, o si muore», si dice curiosamente del Pd fin dalla sua nascita. Siamo cambiati molto poco ma, oltre all’eventualità di morire, abbiamo tutta la vita davanti: rivolgendo lo sguardo di fronte a noi, vedremmo cose che attualmente non riusciamo a scorgere. E forse saremmo visti anche noi, perché l’ombra ci ha avviluppato in un senso ben più profondo delle stesse metafore da noi adottate. Di Galileo si scrisse un giorno che egli era scopritore «non di nuove terre, ma di non più vedute parti del cielo». Ecco. Le parti che non vediamo più, quelle che non abbiamo visto ancora. Punti di vista. O, forse, sguardi sulla realtà.
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