A Roma, assemblea promossa dagli autoconvocati presso la sede del Pd, in via Sant’Andrea delle Targhe (ora ci sono tutte e due, Margherita e Pd, altrimenti si cambiava troppo con l’elezione di Franceschini…). Si parla di democrazia interna, di primarie, di un partito fatto di cittadini e non di correnti. Tutte cose sagge, giuste, sacrosante. Corrado (nel senso di Truffi) ha ribadito la necessità di superare però questa fase. Di dare per acquisito questo tema, condiviso da tanti, tantissimi elettori del Pd. Gli sono andato dietro, come si suol dire, affermando la necessità che il Pd faccia finalmente quanto sta scritto nel suo statuto (e oltre a giurare sulla Costituzione, il nuovo segretario avrebbe dovuto giurare anche sulla nostra carta fondamentale) e quanto era previsto all’inizio del percorso iniziato due anni fa. Due anni passati invano, perché la discussione è ferma sempre allo stesso punto, perché iniziamo anche noi a sentire, come dice Cristiana (nel senso di Alicata), nostalgia della politica. "Stessa casa, stessa porta": un anno fa ci trovammo in questa sala per discutere di ricambio e rinnovamento. "Ho un anno di più" e ripeterei anche oggi le stesse cose. C’è qualcosa che non va e uno schema da rompere: parliamo al Paese, ai cittadini, facciamolo con energie nuove, rinnovabili, senza necessariamente fare ricorso alle nostre tradizionali fonti fossili (parlo di liste, parlo di Europee). Il problema non è nemmeno più chi guiderà questo processo (lo dico da neo o forse tardo franceschiniano, ammiratore di quel Franceschini reloaded che si sta manifestando in questi giorni): ma il processo deve iniziare o avrà ragione chi pensa che il processo non è iniziato e non inizierà più. E quanto abbiamo visto finora, nonostante tutto, non basta. Ho nostalgia della politica, la nostra, e nostalgia del futuro, questa è la verità.
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