Ieri l’Unità ha pubblicato un piccolo contributo del vostro affezionatissimo. Lo riporto qui di seguito.
Per non parlar d’altro e affrontare i problemi veri, a tu per tu con i cittadini e con la società che vogliamo rappresentare, è decisivo il confronto con il tema dell’immigrazione, dell’integrazione e della sicurezza. Ne scrivono Luigi Manconi (Un’anima per il Pd, Nutrimenti), Livia Turco (Il muretto, Donzelli), Jacopo Tondelli (Sceriffi democratici, Marsilio) e Gianfranco Bettin, nel suo drammatico Gorgo (Feltrinelli). Libri usciti negli stessi giorni, che s’interrogano rispetto alla possibilità che la sinistra sappia offrire una propria risposta al tema, che tutti definiscono «epocale», della convivenza tra italiani e stranieri. Bettin è tranchant: «la sinistra italiana ha fallito sul versante dei diritti da promuovere e su quello delle regole da far rispettare». Eppure, l’immigrazione non dovrebbe essere «una questione periferica e marginale nell’impianto teorico e programmatico della sinistra», ma «un banco di prova decisivo della capacità di governo nelle società contemporanee». Come anche Turco, Tondelli attraversa diversi modelli o, meglio, tentativi di risposta politica e amministrativa che la sinistra ha offerto in questi anni, da Cioni a Penati, da Zanonato a Chiamparino (con una preferenza per le parole e le azioni di quest’ultimo). In alcuni casi coraggiosi e concreti, capaci di intervenire e di dare risposta e, per questo, vincenti: nella lotta al degrado, nel confronto con la ‘paura’, all’insegna di una politica della sicurezza sì, ma con gli immigrati, come vuole Zanonato. In gioco ci sono regole e diritti insieme: «tanto più noi inseriamo gli stranieri nella nazione, e allarghiamo il diritto di voto, tanto più disinneschiamo la carica esplosiva di queste problematiche», dice Chiamparino. E Tondelli commenta: «serve uno sforzo di elaborazione teorico-pratica particolarmente acuto, profondo, efficace» e di «un patto sociale rinnovato quanto accurato, da proporre a chi c’era e a chi arrivava», con la «pazienza di trasformare in azione l’intelligenza» quale unica «possibilità di radicamento nel futuro del paese» attraverso «risposte innovative, originali ed effettive». Senza passare «dall’anoressia alla bulimia», dice ancora Chiamparino, in quella «vertiginosa e fallimentare oscillazione», per dirla con Bettin, dalla minimizzazione buonista alla drammatizzazione del più realista del re (sindrome tipica di un’intera generazione politica). «Per mettere in pratica tutto questo, serve naturalmente un partito radicato, strutturato, organizzato e consapevole, che parla alla gente», dice Zanonato. Un partito che non si sottrae, che si ‘pensa’ in relazione a questo tema, che sa passare a quell’iniziativa politica che spesso è sinonimo di presenza e di partecipazione al livello locale (localissimo!) della propria città e del proprio quartiere. Perché è lì che la globalizzazione precipita ed è lì che è ‘scomparsa’ la società. Chi di tutto questo si deve occupare se non il Pd?
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