Sono un patito (democratico) dei viaggi in treno. Mi sono sempre piaciuti. Da ragazzo ho attraversato l’Europa più volte con il biglietto InterRail, alla scoperta del mondo (e anche un po’ di me stesso). Ho ricordi straordinari: una poesia incastrata in un sedile a Fortezza, in Alto Adige, quando ero molto giovane, una copia di Se una notte d’inverno un viaggiatore colpevolmente abbandonata in piena estate su un treno per Helsinki, una sosta a Bobadilla, nel Sud della Spagna, un’alba ferroviaria a Lubecca, una campagna elettorale fatta all’alba nelle stazioni dei pendolari da Lecco e da Como, verso una Milano a volte irraggiungibile. Sono sull’ultimo convoglio di questa prima parte del 2009, trascorsa in viaggio per la mia regione e per l’Italia: a fare cose e vedere gente, a parlare di politica, a presentare libri, alla ricerca di un senso (e anche un po’ di me stesso). Sono stato a Milano, a Pavia, a Cremona, a Varese, a Bergamo, a Torino, a Genova, alla Spezia, a Verona, a Padova, a Venezia, a Trieste, a Treviso, a Ravenna, a Rimini, a Bologna, a Piacenza, a Pistoia, a Pisa, a Roma, a Napoli, a Foggia, a Bari. E, ovviamente, a Piombino (in macchina, però) e all’Aquila (ma in pullman). Passano ancora (e quasi sempre) lenti, come in quella canzone. Molti ne ho presi, moltissimi ne ho persi, altri sono passati in anticipo, altri in un ritardo spaventoso. Ma, tutto sommato, va bene così. E per un istante, in una stazione à la Calvino, ritorna la voglia di vivere a un’altra velocità.

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