Aveva visto i camosci saltare i precipizi in piena corsa, uno dietro l’altro eseguendo l’identica sequenza di passi nello slancio da una sponda all’altra. Il loro salto era un rammendo tra due bordi, un punto di sutura sopra il vuoto.

Al di là di più d’una reminiscenza letteraria e filosofica – quella «per cui il predator dovegna preda, il cacciator doventi caccia» (nel celebre passo di Giordano Bruno) – il confronto tra i due «re dei camosci» (uno cacciatore, l’altro, appunto, camoscio) e il corrispondersi nella differenza e nel confronto (e qui viene in mente l’Auseinendersetzung heideggeriana) de Il peso della farfalla di Erri De Luca (Feltrinelli)  rappresenta un breve e leggero esempio di profonda letteratura (come lo sono le pagine finali di quella sorta di appendice di senso che De Luca offre al lettore):

Teneva per sé le sue esperienze. Cresciuto senza un branco, non sapeva trasmettere. Poteva diffondere nella sua discendenza la forza e la taglia maggiore, nient’altro. […] In ogni specie sono i solitari a tentare esperienze nuove. Sono una quota sperimentale che va alla deriva. Dietro di loro la traccia aperta si richiude.

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