Lo sapevo che sarebbe arrivato il momento per il «ti amo» politico. C’era da aspettarselo, del resto, immersi come siamo nella retorica natalizia e post tartagliana della nostra piccola videocrazia, di cui autore e destinatario della frase sono protagonisti. Non a caso, il «partito dell’amore» è prodotto televisivo quant’altri mai (lo era stato anche nella precedente versione) e quando B dice questo («al contrario di ciò che noi facciamo perché noi rispettiamo l’avversario politico») mente in modo così spudorato che tutti danno l’impressione di credergli. Perché siamo ridotti così, a fare finta di fare opposizione a un uomo che fa finta di governare, costretti a usare le sue parole e i suoi schemi fino alla prossima sconfitta. Lui, mentre parla di amore, in realtà pensa soprattutto ai suoi processi, come sempre (questo il senso delle famose riforme, di cui tutti parlano come se fosse una cosa seria), e alla propria immortalità. Con un simbolo straordinario, l’aggressione del folle, che agisce perché condizionato dal clima violento che solo i suoi avversari hanno contribuito a creare, perché lui, lui no, lui ama. Da sempre. E proprio per questo è riuscito a sottrarsi al male. E non si cura degli avversari ironici e polemici, lui ama anche loro. E tutte le creature che calpestano questa terra. Che cosa fa per loro? Risponditore automatico: nulla. Le ama. Che cosa c’entra la politica con tutto questo? Risponditore automatico: nulla. Ma nella forma in cui la conosciamo, oggi, in Italia, questa è l’unica cosa di cui i politici parlino, l’unica cosa che la politica rappresenti. Ci hanno tolto tutto, del resto, non ci resta che l’amore. E il modo ancor m’offende.
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