l Tea Party di San Diego schiera tre signore (patriote, si presentano) a confronto con i quindici more or less giovani leader europei. Si presentano come responsabili della Tax Revolt Coalition della California del Sud (qui il sito, con la campagna pro Arizona e tutto il resto). Le tre signore – soprattutto la terza, che sembra una Sarah Palin in salsa californiana – hanno qualcosa delle «casalinghe disperate», ma sono convinte e le ascoltiamo con rispetto.
All'inizio dell'incontro ci distribuiscono la Costituzione americana, ci spiegano a loro modo il No taxation without representation e quando Pedro dal Portogallo dice che però loro la representation ce l'hanno, la terza – quella incazzosa – sbotta: no, Washington è lontana, è piena di burocrazia, non rispettano il mandato ricevuto dagli elettori. Cose così.
Shane dall'Irlanda cerca di interloquire, sostenendo con precisi riferimenti che l'organizzazione dello Stato è cosa complessa, ma la terza – che interrompe, as usual – non è d'accordo, perché qui si pagano tasse che finiscono nelle tasche dei grandi politici e, insomma, è tutto un "magna magna".
Sono tutte e tre decisamente contrarie all'intervento dello Stato – spiegano che è una questione costituzionale, negli States – e i socialdemocratici d'oltreoceano si dimostrano un po' preoccupati (e, forse, interdetti). L'unico intervento che ammettono, ovviamente, è quello sui clandestini, perché loro non ce l'hanno con gli immigrati regolari (legal), ma con quelli irregolari (illegal). Dice quella moderata delle tre che non c'è ragione etnica (facendo il segno delle virgolette con le dita, quando dice etnica), ma solo una questione di opportunità per l'economia americana. Subito dopo attaccano con l'agricoltura, senza rendersi conto che è l'agricoltura uno dei massimi 'aggregatori' di clandestini, ma tant'è.
Vanno un po' in confusione sulle spese militari e sulla sicurezza e non paiono molto pronte sulla misure da prendere in campo finanziario, ma non c'è problema: a loro interessa rappresentare i ceti medi e i piccoli imprenditori, travolti dalle scelte sbagliate del governo e da un sistema fiscale che a sentir loro è prossimo al cannibalismo (oggi, per altro, sui giornali abbiamo letto che mai la pressione fiscale è stata così bassa come ora).
Parlano di libero mercato, di responsabilità fiscale e di libertà, perché questi sono i tre capisaldi del movimento.
A un certo punto quella delle tre patriote che pare essere la leader del gruppo spiega che «loro sono cittadini, non politici» e allora ho capito dove avevo già sentito tutte queste cose. Ovviamente le avevo sentite – e viste -nell'Italia del 1994 che è quella in cui ancora viviamo (a parte la Costituzione, ovviamente, che non mi è mai stata consegnata da un esponente del partito del tè locale…).
Basta tasse, basta Washington, basta con il teatrino della politica, chi fa da sé, fa per tre (le tre del Tea Party).
Jacob da Copenhagen (che è uno serio) suggerisce però di riflettere. Dice che questo sentimento contrario alla politica istituzionale è pericoloso. E penso anch'io che, al di là della formulazione a tratti barbara, la questione della rappresentanza sia un problema molto serio in tutta la politica contemporanea. E che la promessa di Obama di rendere tutto trasparente alla Casa Bianca (anche Obama partì con una durissima critica al sistema politico della Capitale, ve ne ricorderete) debba essere più (e meglio) rispettata, per evitare che questi movimenti prendano piede. E che la questione fiscale sia strettamente legata a quella democratica.
Le tre del Tè ce l'hanno con Bush, con il governo della California e anche con la stessa Palin (forse per ragioni competitive) e pretendono che nessuno tra i politici "metta il cappello" sulle loro iniziative, che dicono essere molto popolari e in costante crescita di adesioni. Alla fine dell'incontro le salutiamo dicendo loro che l'appuntamento successivo riguarda la sezione di San Diego della ACLU (quelli dei diritti civili) e la patriota nel ruolo di leader prorompe in una risata che sembra uno sketch di Paola Cortellesi. «Buoni, quelli», commenta. Già. Come diceva il poeta, «ha ben piccole foglie, la pianta del tè».
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