l titolo del pezzo di domani, che troverete in edicola, con l'Unità, come sempre. Qui di seguito il pezzo di oggi:
«Arrivò Garibaldi e non c’era nessuno». Il limite invalicabile dell’obbedienza
La compagnia si allarga. Più che alle gesta garibaldine, il nostro viaggio dell’Unità assomiglia a un’impresa di Forrest Gump. Ora siamo in quattro, domani saremo in otto. Chissà quanti saremo a Marsala. Lascio a voi la (facile) risposta.
Ci si ferma a Eboli. Guardandosi indietro e pensando a cosa ci aspetta. A Matera, in Puglia, e ancora più a Sud. Perché la fermata, per noi, è da intendersi, in senso tecnico, come una sosta. E perché qui non hanno certo bisogno di noi: il Pd ha appena vinto. Da solo, o quasi, perché c’era l’Api e una lista che si chiama «Fatti per Eboli». Per dire.
In questa estate disunita e unitaria insieme, c’è un tizio con una croce di tre metri che viaggia, a piedi, da Milano (Binasco, per la precisione) a Cefalù. Salvatore, di nome. Di cognome, Glorioso. Per lui si tratta di un voto perché non vede i suoi figli dall’anno del divorzio. E vuole religiosamente protestare. Siccome alla croce ha messo le rotelle, qualcuno, prima che Glorioso superasse il fatidico confine del Po, lo voleva addirittura multare. Chissà se s’inventeranno un’ordinanza (apposita!) anche per le «croci a rotelle». Sembra uno scherzo, ma, come al solito, è tutto vero. Poi, ormai arrivato a Torrimpietra, vicino a Roma, lo ha fermato anche la Polstrada perché «la croce sbandava per il vento». Lo hanno rifocillato e lui, indomito, è ripartito. Deve arrivare a Cefalù. Magari lo incontro, verso Sud, e facciamo un pezzo di strada insieme.
Qualche chilometro più in là lungo la costa tirrenica, sempre più bella, arriviamo a Gaeta. Ci accompagnano Eliano e Paolo, amici per la pelle e giovani democratici. Ci parlano del Pd, che qui alle Amministrative se la cava, nonostante i terribili risultati delle politiche. Sono un po’ preoccupati per quello che accade a livello nazionale ma questo, nel Pd, non è una novità: è uno dei tratti che uniscono tutti gli iscritti. O quasi.
A Gaeta, contro la «sinistra garibaldina» che «professa la propria fede verso il massone nizzardo», c’è Antonio Ciano, che ha il negozio di tabacchi in piazza, vicino al municipio. Ciano ha fondato nel 2002 il Pds, che questa volta, nel gioco impazzito degli acronimi della politica italiana, sta per Partito del Sud. Qualche centinaio di voti in città. Il nome della lista? «Riprendiamoci Gaeta». Si sente assediato, Ciano, ma non da Roma: no, lui ce l’ha con Torino. Ora è assessore al demanio, che qui conta parecchio, con tutte le aree militari e i limiti invalicabili che compaiono sui muri della città. Curioso che un neo-borbone si debba confrontare con il federalismo demaniale. Un segno dei tempi.
«Nel 2005 dal Sud sono emigrati 120 mila giovani, chiamati terroni da coloro i quali si sono arricchiti con il drenaggio fiscale ai danni del Sud praticato dai vari governi di destra e di sinistra dal 1861 ad oggi», scrive cose così, Antonio Ciano. Che ha l’obiettivo, da «brigante», di «radicarsi nel territorio» (una vera ossessione, al giorno d’oggi) e si dice equidistante tra i due poli, perché «non è di destra, né di sinistra» (anche lui, ormai si ritrovano tutti lì, nel mezzo). L’identità del Mezzogiorno è quello che gli interessa. Del resto, si sa, i Savoia hanno portato tutti i mali, perché hanno devastato («massacrato» o «violentato», precisa Ciano) l’economia del Sud. Ne riparleremo, perché il discorso di Ciano ha una sua anacronistica attualità, in attesa, ovviamente, che arrivi, scendendo dai Tremonti, la panacea del federalismo. Ciano non scherza: ha presentato una petizione per riavere i beni espropriati dai Savoia. Dalle due Sicilie alle due Italie, insomma. Una storia già sentita.
Da Gaeta lo sguardo corre verso Ponza. E viene in mente Ventotene. E il limite invalicabile diventa confino. Pio IX si scambia, allora, con Altiero Spinelli. E con Vittorio Foa, dalle carceri della giovinezza alla vicina Formia delle sue parole, fino alla fine limpide e precise. E l’«obbedisco» di Garibaldi, il vero sipario sul Risorgimento, diviene il limite invalicabile dell’obbedienza, si potrebbe dire. Così da Carlo Levi si passa velocemente a don Milani. Al conformismo dei tempi nostri, al confino di un Paese che vi si è posto da solo e alla necessità, liberatoria, di evadere e di andare controcorrente.
Tra Gaeta ed Eboli, c’è Teano. Una tappa irrinunciabile. L’antica Sidicinum ora dà il nome al locale centro commerciale. Il centro storico è affascinante. La cittadina si prepara alla Notte bianca di fine agosto. Le fanno dappertutto, le notti bianche. Ci sono cinque vetrine sulle quali campeggia l’insegna della Pro Loco, ma sono tutti chiusi e non ci sono gli orari di apertura. Ora, prima di unire l’Italia, sarebbe il caso di unire le Pro Loco. Perché sono tante e in ogni caso e, potremmo dire, da nessuna parte, si trovano informazioni circa il ‘loco’ dello storico incontro. Ci rivolgiamo a Sergio, che fa l’infermiere al Pronto Soccorso. Ci dice che dobbiamo andare verso l’autostrada. Nemmeno i due si fossero incontrati in autogrill. Nella campagna, senza alcuna enfasi, come se si trattasse di un agriturismo, il primo dei due cartelli. Qui si incontrarono Garibaldi e il re. La cittadinanza pose. Sopra il guardrail. Ma non è finita. Dopo una rotonda, qualche centinaio di metri più in là, ce n’è un altro. Che dice che anche qui si sono incontrati Garibaldi e il re. Dall’incontro siamo passati alla disfida di Teano: ponte di San Nicola o Taverna Catena? Teano o Vairano? La cosa ha dell’incredibile, perché il vero problema non consisterebbe nella corretta localizzazione, sulla quale le fonti per altro si dividono, ma nel dare le minime informazioni ai visitatori che arrivano sul posto. E Teano e Variano potrebbero addirittura coalizzarsi. Pensateci: sarebbe un fatto epocale, nell’Italia dei localismi e delle rivalità da strapaese.
Per ora, vince, per meriti turistici, Vairano Patenora. Che ha il cartello, il monumento in piazza, e molte lapidi. Con i toni seri, che ci vogliono, in questi casi. L’eroe che mai fu vinto e il grande re. I citandi artefici. Salutandolo sovrano, il popolo, ecc.
Chissà cosa accadrebbe oggi se Garibaldi volesse incontrare le istituzioni a Teano. I Savoia, li escludiamo per motivi repubblicani (e non solo). L’eroe dei due mondi troverebbe il presidente Napolitano assediato dai golpisti balneari, che più che a Teano lo vedrebbero volentieri a Gaeta. O forse un Berlusconi sempre più improbabile, di ritorno da un festino a Casoria. Bertolaso organizzerebbe uno dei suoi grandi eventi, per l’occasione.
La verità è con il senso dello Stato che ci ritroviamo sulla lapide scriverebbero: «Arrivò Garibaldi e non c’era nessuno». Per poi discutere, per anni, circa l’esatta localizzazione del mancato incontro. Perché noi, in Italia, ci occupiamo sempre degli aspetti più importanti delle cose.
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