L'ultima tappa del viaggio di Ippolito, da Marsala, verso casa. Qui tutte le tappe, pubblicate dal sito de l'Unità.
Sulla via del ritorno, per tornare a vincere
È appena iniziato, il viaggio alla ricerca dell’unità perduta. Ci tocca proseguire, nella speranza che sia la democrazia a porre una lapide e a deporre, contestualmente, chi sapete voi.
Dobbiamo fare in fretta e, per cambiare le cose, dobbiamo cambiare noi stessi.
Perché più le cose sono semplici, più sembriamo inadeguati. E, dopo Mi fido di te, sembra che la colonna sonora del Pd sia diventata L’ombelico del mondo. Tutti a parlare di sé, a distinguere come entomologi tra mozioni, espressioni tecniche, modi di dire del burocratese. Con un vero trionfo della retorica politicista quando si è trattato di discettare di governi tecnici. Rispetto alle cose da fare, questi sono “puri nomi”. Anzi, “puri cognomi”. E non va bene. Per niente.
Attraversando il Paese, parlando con le persone che ci vivono (e lo vivono), la politica sembra assente. Anzi, di più, sembra inutile. Non dimentichiamolo: si riparte dalla ‘A’ di astensione, la lettera scarlatta della politica italiana, che deciderà anche le prossime elezioni.
Non lasciamo nulla di intentato. Anche Grillo, per dire: prendiamolo sul serio, anche se la cosa non è reciproca. Cerchiamo di capire, al di là dei toni sbagliati e di polemiche spesso pretestuose, quali sono gli argomenti che frequenta. La finanza, la democrazia, l’ambiente. Estendiamo il messaggio, però. Perché cinque stelle non bastano: qui ci vuole tutto il firmamento.
E allora attraversiamo l’Italia, a ritroso, e la metafora del ritorno ci accompagna. Perché tutto si tiene, lo abbiamo visto, e tutto ritorna. Lo sapevano quelli del Rinascimento, lo sapevano anche i teorici dell’Italia da unire. Perché loro avevano studiato, e forse dovremmo farlo anche noi. Proprio perché ora non studia più nessuno e la scuola è un problema secondario, fin dalla primaria. Appunto.
Sulla strada del ritorno, lo sanno tutti, bisogna fare il pieno. E cercare tutti i consensi possibili, soprattutto se la destra si dividerà e se Fini (finalmente) vorrà costituirsi “parte civile” e fondare, con Casini, il terzo polo, noi dobbiamo portare tutti i nostri elettori al voto. Con la stessa passione del 2008, per vincere, questa volta, perché il declino riguarda l’avversario e non i nostri Prodi. Con l’attenzione a non ricomporre l’Unione, ma a ricomporre il Paese. Alleandoci con le forze vive della società, come si diceva una volta, prima ancora che con le etichette di partito. A cui siamo ancora troppo affezionati.
Siccome siamo alla ricerca di slogan, facciamoci ispirare dai Giuseppe di questa storia. I Mille parlamentari? Cinquecento possono bastare. E vogliamo conoscerne i nomi, a uno a uno, e poter scegliere con le primarie i nostri candidati (se ci sarà ancora il porcellum) e essere noi i primi a presentare una proposta di legge elettorale, in Parlamento, chiedendo di votarla a chi vuole chiudere questa stagione politica. Ve lo vedete un Berlusconi che cade sul porcellum (absit iniuria verbis)? Sarebbe epico.
Porta Pia? Aprite quella porta, certamente. Perché ho cercato l’Ottocento, ma a volte, nell’Italia del 2010, sembra di stare nel Medioevo. E facciamolo, il porta-a-porta. Senza sbatterla, non c'è bisogno di fare baccano. E già che ci siamo andiamo anche a Ballarò, che prima di essere una trasmissione, è un mercato di Palermo, a qualche metro dall’Antica Focacceria da cui sto scrivendo. I mercati. E i luoghi di lavoro, che sono all’Anno zero: frequentiamo le fabbriche. Non solo quelle di Nichi. Le fabbriche fabbriche. E le aree industriali. E le botteghe artigiane.
E affidiamoci a un disegno ambizioso: perché contro il piccolo cabotaggio, ci vuole l'alto mare aperto. E ci vuole la ricerca. E l’azione temeraria.
È questo il compito della nostra generazione: non tanto sostituire i vecchi, come vuole una facile contrapposizione giornalistica, ma fare quello che ci tocca e ci compete: lanciare una sfida contemporanea, parlando ai giovani, certamente, anche perché ora non parla loro proprio nessuno, ma rivolgendoci alla società tutta.
E poi ci vuole speranza e un po’ di ottimismo, perché la “mestizia democratica” non ci fa bene. Un satiro danzante, ci vuole, come quello di Mazara. Scoperto in profondità, come una sorpresa, in quel canale di Sicilia pieno di fantasmi. E non intendo certo una politica che giri su se stessa, ma che abbia l’orecchio a punta del satiro e l’animo ispirato. Dalla passione.
E poi, certo, saper fare le cose. E farle, una buona volta. E indicare quelli che le fanno come modelli. Come esempi. Come una volta.
I templi non sono cambiati, ma i tempi possono farlo. E ci sono mondi infiniti, diceva il mio filosofo preferito. A noi basterebbe riscoprirne uno, il nostro, che sembra scomparso dalla politica italiana. A cominciare dall’Europa, per proseguire con il Mediterraneo. E guardare al di là del mare, per capire cosa sta succedendo anche a noi, dalla grande città al piccolo paese della provincia italiana.
Rimettiamoci in viaggio. Con l’utilitaria. Con una politica semplice e comprensibile. A contatto con la realtà. Partendo da casa, anzi, dalla casa, il tema dei temi. E usciamo per andare a lavorare, per unire i diritti dei lavoratori, per dare dignità a quelli che ora non ce l’hanno e qualche prospettiva a quelli che si trovano in gravi difficoltà. Investendo nelle cose buone, sapendo scegliere, perché la politica non è un terno al lotto. Andiamo per le strade, tra cittadini che sono italiani perché lavorano in Italia, accendono un mutuo, costruiscono una famiglia. E pagano le tasse. E attraversiamo le piazze della concorrenza, libera, sulla qualità e sul merito, non grazie alle amicizie o le entrature, anche in ragione di una politica che non è dei politici e del loro piccolo potere, ma dei cittadini e della loro vita. Perché appartiene ai loro bisogni. E anche ai loro sogni.
Berlusconi un giorno o l’altro politicamente non ci sarà più. Non torniamo indietro, però. E facciamo che la Terza Repubblica, da inaugurare con una festa d’altri tempi, non sia troppo uguale alla prima. Ci meritiamo qualcosa di nuovo, dopo tanti anni di sofferenza, con un ricco spregiudicato (e, non fosse per i ‘lodi’, anche senza ‘s’ iniziale) che ci ha reso più poveri. Sotto ogni punto di vista.
Possiamo farlo. E ci saranno donne e uomini. E piroscafi. E bandiere. E ci saremo anche noi.
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