Mentre viaggio verso Pesaro, dopo un bellissimo incontro a Modena di cui dirò presto, e sto pensando che forse non sono io a essere fuori dalla linea del partito, ma altri (tipo il nostro presidente), incontro Donato. Che mi riporta alla realtà, con una di quelle belle conversazioni da treno come se ne fanno ancora. Fortunatamente. Donato sente una mia telefonata, riconosce il piccolo politico e mi dice:

«Se lei sarà ministro…».
E io: «Non si dà il caso…».
E lui: «E perché no? Con tutti gli stronzi che ho conosciuto che l’hanno fatto…».
Io abbozzo. E lui riprende. «Si ricordi della povera gente, stia sempre dalla parte dei deboli e – passando al tu, per essere più incisivo – quando devi contestare, contesta».
Donato era socialista, a Milano, negli anni giusti. Lavorava all’azienda elettrica. E aveva un amico nel Psi che dell’azienda elettrica era presidente. Per evitare di essere aiutato, non gli ha mai fatto sapere che lavorava lì. Glielo ha detto, un giorno, quando questo presidente era già andato in pensione. E si è preso pure del coglione, quel giorno.
Donato ne ha una per tutti, era di sinistra e non lo è più. E si chiede (non me lo chiede nemmeno, se lo chiede da solo) perché la sinistra e la Chiesa (dice così) non facciano niente contro i privilegi dei politici e di quelli della televisione. Lui, per altro, la ricetta ce l’ha: stare un pochino meglio tutti, evitare le esagerazioni. E pagare qualche tassarella in più. Tutti quanti.
Milanese d’adozione, Donato è un ragazzo del Sud, un lucano di Rionero in Vulture, che cinquant’anni fa è andato a Milano a lavorare. E dice di non sapere più cosa votare, né per le idee, né per le persone. A Donato il pettegolezzo che ci porta lontano dalle cose vere non piace per niente. E mi dice, fulminante, alla fine:
«Ma lo sai che un ragazzo del liceo classico ha chiesto a me che cosa vuol dire vetusto?».
La domanda è semplice e ‘impossibile’ insieme: perché una persona come Donato non ci vota più?

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