Davide Guadagni e le  Tre Giornate di Firenze.

Firenze primo giorno: il prologo

L’accoglienza è efficiente, l’accredito già pronto. Sala immensa e molto bella, buona musica. L’altoparlante, a mo’ di stazione, annuncia l’apertura del vagon restaurant. Pasta al sugo e finocchiona degne di una buona accoglienza toscana. Persone di tutte le età e sorridenti. Renzi, che fa il padrone di casa molto cordiale, somiglia a Renzi. Civati, che fa quello un po’ schivo ma disponibile, somiglia a Kennedy. I discorsi si rincorrono e il sottofondo è un parlottare indistinto da cui mi estraneo per ascoltare meglio l’eco delle risate. Prevalgono, siamo in un’assise politica e prevalgono le risate? Mah.

A un certo punto finisce il pane, le presenze esuberano le previsioni. Qualcuno procura dei pesci a Renzi e Civati e il pane, misteriosamente, torna. Siamo pronti per l’inizio del dibattito e ci guardiamo in giro per contare i presenti, tanti davvero. Arrivano le prime stime, divergono come sempre: per gli organizzatori 3 mila, per la questura 400, per i vertici del Pd 150.

Si parte puntuali alle 21 e 15 (straordinaria novità). La solita voce fuoricampo invita i presenti a prendere posto e a lasciarlo dopo tre legislature. Ognuno parlerà per 5 minuti. L’aveva scritto Renzi nei giorni scorsi: “Saremo maleducati. Preparatevi, fate le prove davanti allo specchio, costringete il fidanzato cronometrarvi, fate come volete. Avete trecento secondi, non uno di più”. Dopo un filmato ironico la strana coppia, che sta sul palco ma di lato, interviene per confermare le regole che servono a far parlare più persone e il divieto di rivolgersi al proprio ombelico. Il fine giustifica i mezzi. La prima a intervenire è Annamaria, da Marsala è emozionata, ma fa capire quante cose buone si possono dire in pochi minuti. Signori, in carrozza, si parte, la rivoluzione ha inizio.

Firenze secondo giorno: il dibattito.

Il palco che vede tre persone in attesa in panchina, l’oratore che interviene su una parola per cinque minuti e i due padroni di casa che commentano e suonano il gong è diventato solo il fondale di un racconto. Uno strano viaggio balzachiano che si popola di presenze. Se dovessi scegliere il protagonista di una giornata fitta di suggestioni, non avrei dubbi. Si chiama Elmedi, ha tredici anni è nato in Marocco ma è di Palermo, a scuola si annoia e da grande vuol fare l’imperatore. Sua madre lo chiama Dream (sogno) perché ci conta, non sa se farà l’imperatore ma spera che faccia almeno il carabiniere. Elmedi non è qui, ma spunta dalla voce di una viaggiatrice siciliana che coniuga la parola “integrazione”. Ecco, è un continuo di cose così.

Si disseminano nella platea e fanno capire che, senza ordine, si esprime qui quel che di buono rimane di questo nostro paese martoriato e rimbecillito. C’è di tutto: ricerca, fango, fisco, donne, scuola. A un certo punto, come in un sogno, spunta anche Carla Fracci, in persona. Ma ci sono anche i dirigenti politici che spiegano che sono lì perché: “Le differenze sono una ricchezza”, du’ palle. Il refrain fa pensare che, se fosse vero, a sinistra sarebbero tutti nababbi. Le differenze le fischiano a Roma dall’assemblea dei circoli del Pd, alla notizia Firenze risponde con un applauso.

E viene in mente l’intervento di Staino di fine mattinata che era stato definitivo. Aveva scelto la parola “pesce” per spiegare che i dirigenti del suo partito avevano commesso un errore capitale a non esserci. “Non siamo più pesci nell’acqua”, per questo ci siamo persi, per questo perdiamo. A lui, a sorpresa, la standing ovation di una platea che per la prima volta nella storia ha messo pace tra questura e organizzatori: sono 4.816. E sono vivi.

Firenze terzo giorno: epilogo e bilanci

“Eppur si muove”, m’ha detto la cassiera del bar della Leopolda mentre pagavo l’ultimo caffè. Ditta esterna ma, evidentemente, anche il mondo normale viene coinvolto da una cosa come questa. Si è riacceso un barlume di speranza anche in persone che non avrei mai pensato di trovare qui. Alla faccia di chi si aspettava una rimpatriata del popolo di Facebook. Le generazioni erano tutte rappresentate, anche i bambini che, grazie a uno spazio dedicato, si sono divertiti consentendo ai genitori di partecipare. Un segno di civiltà e rispetto dei tanti che sono partiti da qui. Non è poco. Si discuterà di mille altre questioni: il programma, la piattaforma, i contenuti. Se si guarda alla politica come un esercizio di rituali noti ci sono state forti differenze.

La messa è stata ribaltata, l’hanno officiata i partecipanti. Ospitati, sollecitati, provocati, hanno avuto la possibilità di esprimersi. E ne è nata una proposta debordante. Mancano i contenuti? No, sono troppi. L’analisi e la sintesi sono andate a farsi benedire travolte dalla speranza di un cambiamento che è difficile governare perché, nel frattempo, la palude è diventata troppo melmosa.

La prima volta che ho visto quel palco (scarno, con la panchina e delle persone in attesa) ho pensato che mi rammentava qualcosa. Cos’era l’ho capito solo oggi, quando l’ho riguardata da una sala che si andava svuotando. Era il Godot di Beckett in cui, per l’appunto su una panchina, due personaggi ne attendono un terzo che non arriverà mai.

Ecco, Civati e Renzi (come molti di noi), sono su quella panchina e aspettano Godot. Ma ora gli hanno raccontato le loro idee, i progetti, le azioni. Sono comparse sul grande schermo dietro la panchina che Beckett non aveva. Secondo la cassiera, che ho poi interrogato come fosse un oracolo, il futuro di questa storia dipende da ognuno di noi. Bisogna abbandonare i pregiudizi e aprire i cervelli, però.

 

  •  
  •  
  •  
  •  

Commenti

commenti