Il ministro Romani se la prende con i firmatari dell'Agenda digitale. Eppure la richiesta che la politica avanzi proposte per un’agenda digitale sarebbe da intepretare uno stimolo importante che proviene dalla società civile per recuperare uno dei ritardi più gravi di questo paese.
Romani confonde l’agenda digitale con il piano delle infrastrutture della banda larga che, al più, è un pezzo dell’agenda digitale, e su cui, peraltro, il governo è anche fortemente in ritardo. Ma, alle prese con un federalismo che non funziona e le telefonate in questura, il governo B non si rende conto che il futuro non riguarda solo le presunte nipotine di Mubarak e le giovani amiche del premier: dovrebbe riguardare qualche milione di persone.
Bisogna capirlo, però, il premier meno tecnologico che ci sia (se non quando si tratta di farsi gli affari suoi, s'intende): è il concetto stesso di società civile (soprattutto l'aggettivo) che lo sconvolge. E l'idea che qualcuno si possa organizzare, liberamente, per indicare le cose da fare. Magari in dissenso con quello che il governo (non) sta facendo.
P.S.: a me, di questa iniziativa, piace soprattutto la parola «agenda», che non dovrebbe essere il diario (pornogiudiziario) del premier, ma un calendario collettivo (associato a un diagramma, magari) di cose da fare per il bene del Paese. in qualità di responsabile del forum Nuovi linguaggi, nuove culture del Pd, consiglio vivamente, riprendendo un appello intelligente, di dedicarci proprio a questo unico e decisivo compito: mettere in fila le priorità, dare voce a chi vuole cambiare, immaginare un paese democratico (e digitale) che in questo momento è letteralmente sospeso. Per colpa del governo, certamente, ma non solo.
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