Lo temevamo ed è puntualmente successo. I leader del centrosinistra sono ripartiti con le analisi: è il lavoro che gli viene meglio, le campagne elettorali le lasciano fare agli altri.
Leggo un sacco di interessantissime elucubrazioni sui giornali. La migliore è quella di Massimo Cacciari, che avrebbe candidato Albertini perché Pisapia nemmeno giocava la partita. E ora commenta, senza fare un plissé, la vittoria di Pisapia. Speriamo solo che non porti sfortuna.
Altri, strateghi della più bell'acqua, ci spiegano che adesso non bisogna fare come nel 1994, quando, dopo la vittoria delle Comunali, si pensò di vincere da soli.
Il riferimento al 1994 va preso sul serio soprattutto perché chi ne parla nel 1994 già c'era. E allora fece il primo di molti errori.
Quelli del 1994 spiegano che ci vuole un'alleanza tipo 2006, molto larga e inclusiva, in cui si decida a tavolino più o meno tutto quello che serve. Chi va a Palazzo Chigi e chi al Quirinale. Anche nel 2006, del resto, la strategia era affidata a loro. Ed è andata benissimo, in effetti.
Gli stessi che qualche settimana fa mi spiegavano, in camera caritatis, che avremmo perso Milano e Napoli, gli stessi che accolsero il mio appello in direzione nazionale per puntare tutto ma proprio tutto su Milano e Napoli con un'alzata di spalle, gli stessi che da un anno passano la vita a far trame di Palazzo, e che hanno vinto queste elezioni "a loro insaputa", ci vogliono spiegare che cosa dobbiamo fare.
Personalmente, mi farei ispirare dagli elettori, mi farei consigliare da loro e rispetterei il senso del loro voto e delle loro aspettative. Gli elettori, in tutta la penisola, hanno chiesto discontinuità e che si aspettano una proposta di governo comprensibile e forte. Come hanno fatto a Milano ma anche a Napoli.
Hanno chiesto di cambiare la politica, di dare maggiore respiro alle nostre scelte, di indicare una strada e di farlo con persone autorevoli e capaci.
Per questo ripartirei da un'alleanza che non è quella del 1994 (perché il Pd non è il Pci, e continuare a ripeterlo non fa bene né al Pd, né al Pci), ma quella del 2011. E darei un progetto di governo e un leader a tutta questa energia che si è diffusa nel Paese, cercando di recuperare alla politica l'immensa forza civica che appare rinnovata e finalmente libera. Perché il civismo, in Italia, non è rappresentato solo da LCdM, con rispetto parlando.
E poi mi dedicherei a quel 40% in media che comunque non va a votare, perché il dato non è cambiato, nonostante i ripetuti (ma un po' formali) appelli alla partecipazione.
E, da ultimo, farei qualcosa per ridare dignità alla politica del Pd nel Sud, che tra la scoppola di Napoli, i risultati decimali in Calabria e le alleanze siciliane, esce decisamente mortificato da questa tornata amministrativa.
In effetti c'è una cosa che assomiglia al 1994, oltre alla presenza dello stesso gruppo dirigente, ed è che è finito un ciclo, come qualcuno ripete da un anno abbondante. Capisco che per alcuni leader potrebbe essere traumatico rendersene conto, ma è così. E cercare di negare il divenire è il peggior errore politico che si possa fare. E non è di sinistra, no. Per niente.
Da ultimo, si fa notare che Casini e Fini, che escono miniaturizzati da questo risultato, stanno lavorando in prospettiva di un centrodestra moderato e finalmente presentabile, non di un'alleanza strategica con il centrosinistra. Del resto anche loro c'erano nel 1994 (uno aveva lavorato con Forlani, l'altro con Almirante) e chissà se ce la faranno nei prossimi anni a reggere nella stessa posizione di sempre. Ma loro son conservatori. Appunto.
Prima di buttarsi nella defatigante politica-delle-alleanze (che in parte abbiamo già, tra l'altro), bisogna guardare avanti, con coraggio, convinzione e maturità. Prima di tutto viene il progetto e un leader nel quale riconoscersi. Proprio quello che manca oggi, come mancava, guarda caso, anche nel 1994.
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