Ad Albinea abbiamo parlato di «motorizzazione civile» più che di «rottamazione».

Lo abbiamo fatto sapendo che il presupposto – limite dei mandati e primarie dei parlamentari – deve essere riempito di contenuti, di prospettiva politica. Di valori e di riferimenti insieme alti e concreti.

Di scelte nette e di parole chiare.

Un punto di Pil dagli immobili ai mobili, questo significa. Come anche l'idea di mobilitare questo Paese, in ogni senso. Dal punto di vista dell'accesso e di quella cosa che, guarda caso, si chiama «mobilità sociale», soprattutto.

L'energia è venuta finora dalla società, che ha iniziato a bussare alle porte della politica. Lo ha fatto richiamando le questioni culturali più profonde (il movimento delle donne), le questioni generazionali più urgenti (i precari del 9 aprile), il modello di sviluppo e la vigilanza da parte dei cittadini (i referendum).

Ora è la politica che deve fare la sua mossa. Disegnare la rosa dei venti, dare voce alle proposte e alle esigenze che provengono dalla società. E fare una scelta: che premi chi si muove, chi investe, chi sceglie di dare il meglio di sé, sostenendo chi è impietrito di fronte a questa lunga crisi economica e sociale con gli strumenti più corretti e universali che possiamo permetterci.

Non si creda però che la questione delle primarie per la scelta dei parlamentari siano una banalità: perché riguardano il rapporto tra cittadini ed eletti, la questione morale (che è soprattutto questione politica), la rappresentatività delle istituzioni. E anche la dignità della politica.

Sono la mossa, appunto, che dà l'abbrivio al cambiamento, che apre il sistema politico, che gli offre nuove prospettive. E che rovescia il punto di vista, a favore degli elettori. E della democrazia.

I problemi politici sono anche problemi economici. Anzi, sono proprio la stessa cosa. E il Ventennio che si chiude lo dimostra puntualmente.

Bisogna smuovere le corporazioni, le cricche, movimentare un dibattito che si è fissato per troppo tempo sull'assunzione rigida dei limiti e sui confini delle alleanze. Come se si trattasse di un'addizione di sigle, mentre qui c'è bisogno della moltiplicazione che solo la partecipazione (e la rappresentanza dei più giovani e il recupero dell'astensione, accidenti) possono garantire.

Crediamo che se il Pd facesse le cose che proponiamo sarebbe un partito (più) democratico, aperto e credibile. Lo stesso vale per le altre forze politiche, e lo diciamo perché è l'interesse generale che soprattutto ci interessa.

L'ho detto. Ora ditelo anche voi. E, soprattutto, fatelo. In ogni città del Paese, in ogni sede politica, in ogni occasione pubblica.

Sono tante le azioni da fare e le posizioni da prendere. Dentro e fuori dal Pd, dentro e fuori dai partiti, perché sappiamo che la politica non è un'«esclusiva» degli «addetti ai lavori».

Non possiamo scoprire a posteriori che quando la politica si chiude in ceti di potere, questi diventano, da problemi politici, anche problemi giudiziari. No, non possiamo. Non è né giusto, né serio.

Il momento è quello giusto. Chi è d'accordo, non metta un like. Faccia in modo che il like lo si metta sotto la voce «politica italiana». Che è di tutti. O di nessuno.

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