Ciò che si legge delle cronache democratiche in Sicilia è sconfortante. Risse, reciproche accuse, minacce, argomenti antimafia branditi reciprocamente tra colleghi di partito (in una sorta di chiasmo del sospetto e della riprovazione), accordi sottobanco, liste presentate sotto mentite spoglie.
Da tempo, sono state raccolte migliaia di firme per il referendum sul governo regionale. E se il partito vuole incominciare a fare le 'doparie', come spesso si sente ripetere e come si legge in tutti i documenti del Pd a tutti i livelli, dovrebbe iniziare proprio dalla Sicilia, ora che si avvicina l'ora del vespro. Fissando una data per il referendum tra iscritti ed elettori, aprendo un dibattito politico serio e rigoroso, nella sostanza e anche nella forma, per capire come si presenterà il Pd a livello regionale, se la questione della legalità è negoziabile, se ci sono idee diverse circa la leadership di una delle regioni italiane che più contano, sotto ogni punto di vista.
Partire dalla Sicilia e, in occasione del centocinquantesimo, proprio da Marsala, dove il partito, anziché minacciare espulsioni nei confronti di chi chiede le primarie (e non di chi vota il bilancio della giunta della destra, perché succede anche questo), dovrebbe indire le primarie e scegliere un candidato sindaco con il consenso dei cittadini e non solo dei notabili.
Se il Pd vuole cambiare l'Italia, deve partire proprio da lì, dal porto di Garibaldi. Altrimenti, verrebbe da pensare che il modello siciliano, con tutte le sue ambiguità, è un modello da esportare anche nel resto del Paese. Quella siciliana è, insomma, questione nazionale. La sua eco giunge fino a qui. E rischia di non arrivare solo quella.
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