Mario Adinolfi lascia il Pd e non è una buona notizia. Non sono piaciute a nessuno le uscite omofobe di Mario (qui un commento di Cristiana Alicata), negli ultimi tempi, né altre sue prese di posizione, ma per commentare la sua decisione credo sia giusto leggere la lettera che ha inviato a Bersani. A cominciare da quel riferimento agli "altri mondi" a cui il Pd dovrebbe guardare e non guarda:
Ho partecipato con entusiasmo all'esperienza fondativa del Pd nel 2007 e ho condiviso pienamente la scelta del partito "a vocazione maggioritaria" che alle elezioni del 2008 ha cambiato il panorama politico italiano riducendo la frammentazione, chiamando gli italiani a una decisa scelta di campo. Volevamo un partito che ibridasse le culture senza annullarle, che fosse sempre più aperto, che si caratterizzasse per il protagonismo delle giovani generazioni. Su questa scommessa io mi sono impegnato in prima persona, candidandomi alle primarie fondative prima e alle elezioni politiche poi.
Meno condivisibile il riferimento ai cattolici "costretti" ad uscire dal Pd, in una rappresentazione che continuo a trovare troppo schematica e rappresentativa soprattutto di quelli che chiamo "cattolici di professione":
Quel respiro si è accorciato con le primarie del 2009, ora il Pd è ritornato ad essere il Pds: i cattolici più impegnati nella fede sono stati marginalizzati e costretti ad andare altrove, stessa sorte per il co-fondatore leader della Margherita, molti dei miei amici provenienti dalla cultura del cattolicesimo democratico hanno smesso di fare politica o sono emigrati altrove.
Il passaggio dedicato ai giovani, invece, è preciso e corretto:
Per le giovani generazioni, poi, si è offerta la trafila appartenenza-fedeltà-cooptazione come percorso a cui ambire, rovinando completamente qualsiasi dinamica di rinnovamento, con la felice eccezione di Matteo Renzi e pochi altri, che si sono affermati avendo contro la quasi totalità dei leader della nomenklatura di partito.
Ed ecco gli "altri mondi" e i giovani elettori, di cui spesso ci siamo occupati anche in questa sede:
L'apertura del Pd agli altri mondi è stata nulla: mi sono battuto per consentire la candidatura di Grillo alle primarie, ho chiesto il coinvolgimento organico dei radicali e dei socialisti, ho persino promosso l'idea di un referendum sul matrimonio omosex (a cui sono ferocemente contrario) con l'obiettivo di aprire il più possibile le porte e le finestre del partito. Che sono rimaste sigillate e dietro quelle porte si consumano vecchi riti da vecchio Pci che non ha tutta questa voglia di confrontarsi con il futuro e si tiene invece ben stretto un passato che ripiomba sul presente con vicende come quella di Penati, di cui nel Pd si è preferito non discutere provando a far passare l'idea della "mela marcia".
Adinolfi prosegue, parlando dell'essere di sinistra:
Ma il nodo della mia rinuncia all'impegno militante nel Pd resta l'analisi sbagliata che questa classe dirigente fa dell'essere "di sinistra". Io ho sempre ritenuto che il mio impegno a sinistra fosse motivato dalla necessità di ridurre le diseguaglianze, la più clamorosa delle quali è la diseguaglianza tra le generazioni. Oggi i ventotto milioni di italiani nati dopo il 1 gennaio 1970 hanno un welfare state azzerato dalla bulimia dei loro padri, che hanno avuto tutto: posto fisso, casa di proprietà, rendimenti da titoli del debito pubblico che hanno affossato l'Italia, scatti di anzianità, scivoli previdenziali, pensioni baby, pensioni di anzianità, pensioni di vecchiaia che nel 27.8% dei casi sono di gran lunga superiori al salario medio. Oggi i ventotto milioni di italiani nati dopo il 1 gennaio 1970 sono preda della più alta disoccupazione giovanile di sempre, se lavorano sono precari, non possono acquistare una casa propria, pagano il prezzo del debito pubblico, subiscono politiche salariali penalizzanti, hanno una prospettiva pensionistica da povertà assicurata e, se andranno in pensione, ci andranno dopo i 70 anni quando i loro padri ci andavano anche prima dei 50.
L'analisi di Mario è dura, e non sempre corretta, perché le tutele dei lavoratori a cui fa riferimento scontano i rischi di una scivolosissima generalizzazione, ma sul coraggio delle proposte e delle riforme ha, in molti casi, molte ragioni:
L'Italia è spaccata in due: da una parte lavoratori tutelati, pensionati e pensionandi. Dall'altra gli under 40. Il Pd non vuole che sia toccato nulla ai primi e dunque, a parte le chiacchiere solidali, non vuol restituire niente ai giovani. E' o non è questa la più grande diseguaglianza, la più grave ingiustizia? Nel Pd una classe dirigente novecentesca (e anche molti dei suoi giovani cooptati) rimastica ricette scritte dalla Cgil a tutela dei già tutelati e marginalizza proposte come quelle di Pietro Ichino e di qualsiasi stretta alle pensioni in essere più ricche. Siamo stati addirittura capaci di batterci contro il contributo di solidarietà, finendo per beccarci un aumento generalizzato dell'Iva, tassa che colpisce prevalentemente i ceti meno abbienti e precari. Ormai ragioniamo per schemi e sono schemi che non reggono più la sfida del tempo.
Ecco, forse è il caso che si risponda a questa lettera. Nei fatti. E con proposte coraggiose e capaci di rimettere in ordine la questione dell'uguaglianza, che è il vero tema che ci troviamo di fronte, nel Paese delle sperequazioni, dei privilegi, dell'illegalità e della concorrenza sleale. Sapendo riconoscere le linee di frattura, e la causa delle disparità, a livello sociale ed economico, che in questo Paese si cristallizzano sempre di più.
Comments (90)