Son giorni che ci penso a questa cosa di Bersani e del cappello. Ieri sera, l'ultima variazione sul tema: «Non ci metto il cappello, ci metto il banchetto». A proposito dei referendum. Quello presente e quelli passati. Sui quali Bersani è stato, per altro, molto poco convincente.
Al di là del giudizio politico, però, abbiamo un problema con il cappello in sé e per sé. E ve lo dice uno che viene da una città famosa per i cappellifici, a scanso di equivoci. Solo che poi i cappellifici hanno chiuso. Un secolo fa.
Ecco, la dico così: nessuno se lo mette più, il cappello. E vanno bene le metafore che sono popolari, come dice Bersani, ma almeno evitiamo di apparire anacronistici. E di parlare per immagini che sanno di naftalina. Per rimanere in metafora, s'intende.
Inoltre, se posso, al bestiario berlusconiano non vorrei che si volesse rispondere con il vestiario bersaniano: maniche rimboccate, cappelli da non mettere, guanti di sfida. C'è anche il corredo delle lenzuolate. Fanno molta simpatia, ma un po' poca autorevolezza.
Anche Crozza va benissimo. Ora, però, anche basta. Perché Crozza che imita Bersani è fantastico, e fa bene a lui e al Pd. Bersani che imita Crozza (come Crozza stesso gli ha fatto notare, per altro, in diretta tv) molto meno. E l'approccio del «siam mica qui», a volte, come ieri da Fazio, fa sembrare il segretario del Pd molto sulla difensiva. Troppo. Purtroppo.
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