«Lascio le parole non dette e prendo tutta la cosmogonia e la butto via e mi ci butto anch'io».

Ribadisco i miei migliori auguri alla Leopolda numero due (quella convocata con l'immediata precisazione che noi, quelli della Leopolda numero uno, non ci saremmo stati). Sono sinceri, non di cortesia. La ritualità l'abbiamo già abolita lo scorso anno.

«Svincolarsi dalle convinzioni, dalle pose, dalle posizioni».

Non credo nemmeno che il problema sia di personalità che si scontrano: nessun dualismo, nessuna polemica, non interessa a nessuno. Soprattutto in questo momento. Fare i D'Alema e Veltroni in versione gormiti fa riderissimo. Dai.

«Applico alla vita i puntini di sospensione».

Nessuna sottovalutazione del fenomeno, perché il fenomeno c'è tutto. E il 1994 ci insegna che i fenomeni non vanno sottovalutati. E l'esito è incerto, sotto ogni punto di vista. Perché le vecchie consuetudini non valgono più. E se forse non sono tutti dinosauri, esiste la «dinosaurità», potremmo dire.

«Che nell'incosciente, non c'è negazione».

Nessuna banalizzazione, anzi. Solo uno sguardo diverso sulla rivoluzione che tutti si attendono, e in cui noi crediamo fermamente.

Perché deve cambiare la politica, che in Italia lascia sgomenti. E però si fa con la relazione, questo cambiamento. Con la rete. Con il confronto. Non certo con la parola solitaria.

E deve cambiare il modo di concepire la leadership. Se è quella unilaterale e dalla parola roboante, o quella più dolce e però ferma e rigorosa, che sa coinvolgere e spiegare.

E fatevelo dire da uno che studia il Rinascimento, ci vuole il ritorno anche di cose antiche, non solo la liquidazione dell'usato.

E deve cambiare anche la sinistra, che però non deve diventare destra, perché l'abbiamo già vista, questa storia, e non è che ci sia piaciuta più di tanto. E non è che sia moderno, chi la pensa così.

Il problema non è la caduta, ma l'atterraggio o, se preferite rimanere in metafora, il problema non è l'esplosione primigenia, ma l'accrescimento, come nota Samuele. Quale universo ci attende, insomma. E dove saremo noi.

«Oggi ho messo la giacca dell'anno scorso, che così mi riconosco».

Per quanto mi riguarda, dico le stesse cose che dicevo un anno fa. E però c'è stata un'evoluzione. Della specie. Anche di quella democratica. Ci sono state supernove referendarie, la casta in fiamme al largo dei bastioni di Orione, buchi neri elettorali, esplosioni nucleari del nucleare, comete civiche e nuove costellazioni.

E il mondo è cambiato sì, ma non perché tutti si stiano chiedendo quale sarà l'assetto del centrosinistra alle prossime elezioni. O il destino di questo o di quel leader, che poi fa indignare, questa cosa che parliamo sempre di noi stessi.

Dopo il momento rivoluzionario, ciò che ci interessa è l'evoluzione della specie. Come farlo, come dare più uguaglianza (e concorrenza leale), come premiare chi rischia, come dare pensioni a chi non le prenderà, come dare integrazione a chi non ha cassa, come ridare fiato a questo Paese, che è senza respiro. Come far uscire dall'era glaciale i giovanissimi, congelati per una generazione.

«Un ultimo sguardo, commosso, all'arredamento, e chi si è visto, si è visto».

Non è questione solo di come si raccontano le cose, e del modo di farle: è il momento di rivolgerci alla sostanza, alla vita materiale, alle cose ultime. Che sembrano essere una galassia lontana. Dalla politica italiana, certamente.

Tutto dipenderà da come useremo il nostro tempo, d'ora in poi. Da come ci rivolgeremo al mondo della vita. E dalla costanza che ci metteremo. E dalla passione che ci accompagnerà.

(grazie a Morgan)

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