A chi dice che la politica non serve più. Anzi, a chi sostiene che non ci sia proprio più. Che è sospesa. Che tutto è tecnocrazia. Che non ce n’è bisogno. Che tanto tutti sono uguali. Rispondo così, riprendendo quanto scriveva ieri Silbi, su questo piccolo blog:

Caro Pippo, è ora di iniziare a giocare sul serio: perché il Pd non inizia a sparare a raffica una serie di proposte di legge tipo anti-corruzione, liberalizzazioni serie, asta delle frequenze digitali per finanziare la banda larga e la ricerca, tracciabilità, ecc.? Almeno, agli elettori sarebbe chiaro chi è che non vuole l’equità (e nemmeno la crescita, a dirla tutta: le rendite di posizione hanno moltissimi fans)…

In questo momento la comunicazione è fondamentale, aggiunge Silbi, che commenta opportunamente, come le capita sovente di fare, mettendo in guardia dai pericoli di una deriva politicista che potrebbe riguardare il Pd (anzi, a pensarci bene lo riguarda da sempre).

Le strade possono essere due, come sempre è stato negli ultimi anni. La prima la conoscete già, perché è il genere letterario più in voga: buttarsi nelle politica delle alleanze, e nelle raffinatissime strategie. Ovvero, addentrarsi ancora di più nel Palazzo, cercando nei solai e negli scantinati la soluzione migliore per presentarsi al Paese. Cercando di vincere, il più tardi possibile, perché ci dobbiamo preparare (ancora? Sì).

E allora vai di Pisanu e di alleanze geneticamente modificate. Scarica Di Pietro, recupera Vendola, iberna la sinistra comunista (che un po’ ibernata lo è di suo, direbbe qualcuno). Modera con i moderati, pontifica tra ponti e ponteggi, accentrati al centro cercando di non scentrarti.

Oppure, ed è la seconda soluzione, tentare il colpo di testa, la soluzione nuova. La ripartenza. Il gesto, anche. Dire che cosa faremmo noi in più rispetto a quello che è stato fatto. Quali sono le infrastrutture che abbiamo in mente, estrarre dallo zainetto l’agenda digitale, descrivere i nostri progetti sulla tracciabilità e sul contrasto dell’evasione, convocare quella benedetta assise sulla corruzione che Rodotà propose vent’anni fa, trasformare il Paese più arretrato e conservatore tra quelli più ricchi nel Paese dell’innovazione. Parlare di suolo e di paesaggio. Dare alla politica un tempo e una misura. Ritrovare il concetto di rappresentanza, che giace esausto sotto il Porcellum da troppi anni. Rivolgerci ai giovani, che si meritano di più e che devono poter cambiare le proprie condizioni di partenza.

Tutte cose che deve fare la politica. E le deve fare adesso. E noi, nel nostro piccolo, le faremo, semplicemente, partendo proprio dall’inizio del 2012.

Così quando andremo a votare saremo pronti. E le alleanze dipenderanno dalle cose che diciamo, e non dal calcolo dei metri quadri del Palazzo. Quelli, li abbiamo già. E sono fin troppi, tra l’altro.

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