Giuliano Pisapia lancia la sfida verso il Pirellone.
Ormai tutti lo danno per scontato: Formigoni, presidente in Lombardia fin da quando c’erano i camuni (segnalate incisioni rupestri a suo nome), terminerà anticipatamente il suo quarto (!) mandato. Formigoni ha ambizioni nazionali: non è più giovanissimo (nonostante le camicie e il suo inenarrabile profilo sul web), il suo famoso modello lombardo si sta offuscando e le sue chance di giocarsi una partita da leader hanno ormai i mesi contati. Nel 2006 e nel 2008 aveva già tentato la fuga, ma non gli era mai andata bene, un po’ perché B non l’ha mai voluto tra i piedi, un po’ perché la Regione Lombardia vale ben più di un ministero.
In più, la sua maggioranza, come quelle di Cota e Zaia, è in tensione, per via del diverso schema nazionale che Lega e Pdl stanno seguendo.
Da ultimo, ma non certo per ultimo, c’è da dire che le tante inchieste che riguardano la Regione, o la riguardano da vicino, fanno pensare che sia il caso di cambiare aria. Con una certa urgenza, anche.
C’è da dire che tra i corridoi del Pirellone (quello vecchio, perché nel frattempo Formigoni ha eretto la sua nuova sede-mausoleo) si vocifera di un suo quinto mandato, ma la prospettiva, per le ragioni sopra richiamate, appare lontana dalla realtà.
La soluzione più probabile è la seguente: Formigoni punterà sulle Politiche, vedrà come andranno e si concederà, a determinate condizioni, alla scena politica nazionale, abbandonando per sempre il Pirellone.
Come si vede, la sfida lombarda, da sempre collegata alla partita nazionale, questa volta lo è ancora di più. Rispetto allo schema di Pisapia, allora, è il caso di aggiungere due elementi: che non esiste una partita lombarda separata da quella nazionale e che il territorio lombardo è, per sua natura, molto diverso da quello della metropoli capoluogo (la provincia, come sempre, è protagonista, e qui lo è più che altrove). Ci vuole, insomma, un progetto politico che sappia parlare al Nord, dopo anni di “mutismo e rassegnazione” da parte del centrosinistra. E, certo, occorre il coinvolgimento della società civilissima e di tutte le forme della politica (e che i partiti riconoscano la loro parzialità), in un percorso che contempli le primarie, non dimentichiamolo: non averle fatte, l’altra volta, non ci ha portato molta fortuna.
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