Oggi in occasione di Prossima fermata, Como ho parlato di barriere da abbattere, da quelle architettoniche a quelle etniche, da quelle generazionali a quelle politiche.
Stefano Binda, in conclusione, ha parlato di muri, in un senso ancor più profondo:
«Quando su un muro c’è una crepa, è meglio abbatterlo il più presto possibile». Lo afferma un antico proverbio cinese.
Oggi questo antico adagio popolare risuona ancora a Como, provincia spaesata dalla paura dei Paesi emergenti e dalle grandi metafore geografiche di una nuova via della seta, di un nuovo centro globale del progresso materiale.
Un tempo costruire mura significava proteggere una città, ma soprattutto donare ad una città il suo proprio limite.
De-limitare era un tempo fondare una Città.Darle una misura, segnare il suo stesso essere al confine con il suo non-essere, perché dobbiamo riconoscere ciò che non siamo come parte di ciò che siamo.
In questo limite si costruiva l’identità stessa di una comunità civile, di un civile abitare.
Ogni giorno ascoltiamo un moderno adagio lombardo e italiano: non c’è alternativa al governo delle destre, non c’è scampo alla cinta muraria del mercato elettorale della paura, al localismo sterile e senza progetto della Lega, al volgare e sregolato peronismo berlusconiano, alla deformazione clientelare ed illiberale del concetto di sussidiarietà in questa parte del Paese.
Finché non saliremo su questi muri, non capiremo che per trovare, al di là di essi, un’alternativa, dobbiamo abbatterli.
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