Siamo in aula da ore a discutere di kebab, che viene in mente Mario Vigorone, il cuoco toscano interpretato da Massimo Boldi, che chiedeva: “come dite voi a Milano?”.
Perché questa cosa delle insegne e dei menù da tradurre non è mica semplice: come dite voi kebab? E wasabi? E sushi e sashimi?
No, rispondono i leghisti, nella legge si fa eccezione per le espressioni che sono entrate nell’uso corrente della nostra lingua. Quindi, si fa una legge contro i kebab, però kebab si potrà ancora dire e scrivere, sulle insegne. Chissà se lo stesso vale per il felafel. E soprattutto chi lo deciderà.
Quanto alle merceologie (anche etniche, dobbiamo dedurre) che contrasterebbero, dice la legge, con i valori artistici, storici e monumentali, abbiamo un piccolo problema con l’Expo (termine strano e forse straniero!) che vorrà «valorizzare la conoscenza delle “tradizioni alimentari” come elementi culturali e etnici».
I visitatori troppo etnici e i loro menù saranno gentilmente pregati di non uscire dai padiglioni. E di imparare l’italiano, per farsi capire.
Si scherza. Noi la globalizzazione, in Lombardia, la cerchiamo negli involtini primavera. E siamo la regione più avanzata del Paese.
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