Da tempo sostengo che il centrosinistra italiano deve provare a portare le ragioni degli indignati (e di tutti coloro che si sono mobilitati, in questi mesi) al governo del Paese: raccogliere quel vento con mulini adeguati, capaci di trasformare quella passione travolgente e quelle suggestioni di futuro in una politica di governo moderna e consapevole. Cercando di rappresentare anche le forze sinceramente liberali che non sono state rappresentate da nessuno, in questi anni, e che cercano finalmente un’offerta politica all’altezza delle sfide che ci troviamo di fronte.
Oggi, Luigi De Magistris, in una bella intervista su l’Unità, rilancia la riflessione, parlando proprio di indignati e liberali. E delle forze da portare al governo del Paese, che non provengano esclusivamente dalla politica e dai partiti che conosciamo già: come se una coalizione fosse solo la somma delle varie sigle che la compongono. Al di là della formula “lista civica” che va ancora sviluppata e che può prestarsi a più di un equivoco, secondo me De Magistris centra la questione.
Se il Pd vuole ritrovare la giusta direzione, senza spaccarsi al suo interno con l’infinita tensione di mille posizionamenti, adottando categorie esauste e soprattutto facendosi imporre da altri la propria linea politica (tutte cose che si traducono in opzioni parecchio strumentali, come abbiamo visto negli ultimi giorni), deve ripartire da qui, e da una prospettiva che miri a rappresentare queste due linee, apparentemente lontane e per molti dirigenti politici letteralmente inconciliabili. Linee e tensioni che nella società italiane e nei prossimi anni, invece, potranno convergere, se il progetto del Paese sarà sufficientemente moderno e consapevole.
Per questo insistiamo sul ricambio, sulla possibilità per gli elettori di scegliere e di sentirsi protagonisti. Per questo chiediamo, soprattutto, di pensare l’impensato, perché l’Italia ha bisogno di rompere lo schema. E la politica lo deve fare per prima. Senza cercare di trovare una posizione all’interno della gamma già nota, ma provando proprio a cambiare la gamma dei colori da considerare. Continuiamo a rispondere (in modo diverso, tra l’altro) a domande che non hanno più molto senso. E prima di cambiare le risposte, insomma, dovremmo preoccuparci di cambiare le domande che ci poniamo.
Per dirla con uno slogan, non è necessario andare più a sinistra o più al centro, ma provare a immaginare da ripartire dal basso, dalle questioni che i cittadini sentono di più, per puntare più in alto, dando al Paese nuove ambizioni e proponendogli nuovi scenari.
Lavorare a questo obiettivo è urgente e necessario, se vogliamo fare qualcosa di nuovo e di vincente. E conviene farlo ora, perché le elezioni, come l’amore, prima o poi arrivano.
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