Nelle ultime elezioni amministrative la criminalità organizzata ha avuto gioco facile nell’eleggere un consigliere all’interno delle istituzioni a cui fare riferimento e su cui esercitare le proprie pressioni. I dati elettorali degli ultimi anni indicano chiaramente come bastino qualche decina di voti per entrare nei consigli comunali di città importanti per dimensione, posizione e attività sul territorio. Ne parla spesso anche Nando Dalla Chiesa nel suo decalogo antimafia e le ultime operazioni contro le mafie (anche in Lombardia) hanno stilato l’elenco dei nomi e dei cognomi.

Se ‘ndrangheta, cosa nostra e camorra utilizzano lo strumento del voto di preferenza meglio e più consapevoli della stragrande parte degli elettori il problema non è solo politico: è un problema di cittadinanza praticata troppo poco. Se le mafie dimostrano di conoscere gli strumenti democratici e di utilizzarli a proprio vantaggio significa che anche su questo punto noi dobbiamo provare ad essere più vivi. Il “porcellum mafioso” è garantito dagli argini troppo bassi.

Per questo chiediamo in questi ultimi giorni di campagna elettorale che i candidati sindaci, la stampa, i partiti, la rete e la società civile alzino la voce sull’uso responsabile della preferenza da esprimere nel seggio. Indicare un cognome di cui fidarsi e a cui affidarsi non è solo il modo per non delegare solo alla coalizione l’attenzione per i punti di programma e avere una persona di riferimento; dare il voto di preferenza significa alzare l’argine contro le mafie per rendere più difficile la loro gestione del consenso.

Votate. E date una preferenza.

Su Twitter #preferenzepulite.

A cura di Giulio Cavalli e del vostro affezionatissimo

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