«Partiti da cambiare, non da buttare», dice Ezio Mauro. Già.
Peccato solo facciano molta fatica a cambiare. Peccato non ascoltino chi fa proposte per cambiare.
E, allora, per rispondere al «comico genovese», come lo si definiva questa mattina a Omnibus (e invece le persone vanno sempre chiamate per nome, secondo me, soprattutto in politica), non bisogna fare gli snob, mettersi sulla difensiva e fare gli offesi: bisogna dire semplicemente che non c’è proprio niente da ridere.
E iniziare a fare alcune cose che solo i partiti possono fare. Se vogliono salvarsi. Le ripetiamo, così, per non dimenticarcele.
Dato di partenza: la credibilità della classe politica è al 2%.
Possibili (ovvie) soluzioni, qui di seguito:
Va rispettato il limite dei tre mandati (per il Pd è previsto dallo Statuto, ma anche agli altri partiti farebbe molto bene) con poche eccezioni o deroghe (quasi nessuna). A meno di non voler credere che a recuperare credibilità siano tutti quelli che in questi anni l’hanno dissipata. Che il nuovo sia chi proviene dalla Prima Repubblica. E alla Prima Repubblica dà tutta l’impressione di voler ritornare.
I cittadini devono poter scegliere i loro parlamentari, con le primarie soprattutto se rimane il Porcellum, ma anche se si fa la riforma dell’ABC, che sotto questo profilo contiene ancora molti elementi del sistema precedente.
I parlamentari devono diventare metà, e a metà prezzo, e il bicameralismo è l’unica cosa che non deve essere perfetta, perché alla Camera deve corrispondere un Senato delle Autonomie.
Il primo provvedimento del prossimo Parlamento, visto che questo guarda caso non ce la fa, è una serie di norme contro la corruzione, il traffico delle influenze, il conflitto di interessi (quello di tutti, perché abbiamo finto che la questione riguardasse solo Berlusconi). Sono cose che l’Europa ci chiede (per usare l’espressione molto in voga ultimamente) dal 1999. Per dire.
Deve essere cambiata profondamente la legge sui rimborsi elettorali. Subito. Perché questa classe politica non si è accorta di un sacco di cose che sono accadute in questi anni, in ogni partito. Anzi, ha legiferato – «a propria saputa» – appositamente perché di controlli non ce ne fossero. Altrimenti Belsito e Lusi sarebbero rimaste figure immaginarie. Invece esistono, capite?
Trasparenza sempre, in ogni momento del giorno (e anche della notte, al punto in cui siamo arrivati ci tocca pure questo).
Intervento di riduzione della spesa pubblica inefficiente che foraggia la politica e che la politica ha contrastato troppo poco in questi anni, moltiplicando gli enti praeter necessitatem. E l’hanno fatto apposta, «a loro saputa», anche in questo caso, altro che. Ci sono 6000 aziende pubbliche locali. Ci sono le province che devono diventare enti di secondo livello. E ci sono anche Comuni che si devono unire subito, e altri che si devono fondere.
E poi c’è da mettere un tetto agli stipendi della Pubblica Amministrazione, degli alti funzionari dello Stato e anche delle aziende che sono pesantemente sussidiate dal pubblico. Perché ti aiuto, ma il mio aiuto non deve finire nei premi per l’amministratore delegato. Come fa Obama. Per dire.
E a livello locale, bisogna abbattere dappertutto cricche e sistemi di potere, ripensare l’urbanistica, dare maggiore trasparenza e visibilità alla vita delle nostre amministrazioni. Si chiamano controllo e rendiconto, queste cose. E servono, eccome se servono.
Per quanto riguarda la cosiddetta antipolitica, una proposta di metodo: cerchiamo di adottare altre formule, perché bisogna avere molta umiltà e rispetto per l’indignazione delle persone. E non solo per i costi della politica, no, per la situazione economica in cui siamo piombati. E se va rifiutato il populismo con tutte le nostre forze, vanno indagate in profondità le ragioni che portano persone spesso miti e moderate e quasi sempre molto informate, a sostenerne le opzioni.
«I partiti non vanno buttati, vanno cambiati». Giusto. Ma se non cambiano? Ai posteri la sentenza che sarà molto ardua, ma solo per i partiti.
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