È un partito aperto.
È un gruppo dirigente rinnovato.
È un’occasione di partecipazione che coinvolga (di nuovo) tutti gli elettori e che dia loro la possibilità di scegliere.
È un ‘meccanismo’ per cui siano premiate competenza e libertà e non ci siano più le promozioni sicure (come l’usato) per via della maledettissima cooptazione.
È un disegno chiaro di Paese, da comunicare con facilità.
È la voglia di rischiare, di mettersi in gioco, di guardare in faccia la realtà e le cittadine e i cittadini italiani.
È una storia da raccontare, sui prossimi anni, non solo sugli ultimi venti.
È una sfida collettiva, che ci porti al potere per cambiarlo, il potere.
È la consapevolezza che il tempo è scaduto e che si deve fare qualcosa. Che la si debba fare noi, per la precisione. Non darla da fare agli altri. O aspettarli, gli altri, nella Fortezza Bastiani (Bersani?). Perché così, gli altri, non arriveranno.
È la libertà. E l’uguaglianza di un sistema da correggere. Anzi, proprio da cambiare.
Quello che non ho. E se invece ci decidessimo, una buona volta, a togliere il ‘non’?
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