Adriano Sofri, oggi. Spero che nessuno del Pd lo accusi di alimentare «una sterile polemica ad uso e consumo dei giornali», come ho letto da qualche parte (deve essere una versione sofisticata delle «beghe di Bersani»)?
Lo riporto in toto, così magari ci riflettiamo un po’ su.
In principio c’è la cortese convenzione che chiama “eticamente sensibili” i temi che riguardano il corpo e la sessualità, e assegna loro un’aiuola a parte, come a un albero dal frutto proibito. A essi si riduce progressivamente la Questione Cattolica. Quando il Partito Democratico si impegna a fondere in una nuova e più varia formazione la sinistra già comunista e il cattolicesimo popolare, una specie di accordo fra gentiluomini, diciamo così, li fa accantonare come argomenti di cui non sta bene parlare in pubblico. Ci sono bensì gli eccessi di zelo, come l’assegnazione prolungata di una competenza su quei temi, o almeno un potere di veto, a personalità oltranziste come Paola Binetti. Mezzo uscito da una tal quaresima, il Partito Democratico, che non era riuscito a far arrivare in porto l’umile disegno di legge sui cosiddetti “Dico”, deliberò un anno e mezzo fa di aggirare la suscettibilità delle sue correnti formando un comitato, coordinato da Rosy Bindi, che facesse esaminare e discutere i temi “sensibili” da dirigenti politici ed “esperti”, così da arrivare a una sintesi da proporre al partito. La decisione fu presa pressoché all’unanimità, benché qualcuno, come Gianni Cuperlo, suggerisse di affrontare il dibattito nelle sedi di partito, piuttosto che passando attraverso la supposta neutralità del “Comitato”. Il quale fu nominato, curando la varietà delle posizioni rappresentate, senza sollevare obiezioni sostanziali. (Spiccava l’assenza di un nome come quello di Stefano Rodotà, giustificata a posteriori con il desiderio di non turbare un equilibrio faticosamente raggiunto…).
La presidente affidò la redazione di due bozze provvisorie di documento a Michele Nicoletti, cattolico, professore di filosofia politica e segretario del Pd a Trento, e allo storico Aldo Schiavone. Richiamato Schiavone da altri impegni, il documento conclusivo è stato steso da Nicoletti, e largamente ispirato al riconoscimento dei diritti soggettivi della persona, con una esclusione a priori del matrimonio fra gay e del diritto d’adozione da parte di coppie gay. Il documento sollevò, fra apprezzamenti per il lungo e paziente lavoro svolto, critiche di alcuni fra i componenti del comitato, sia per la rinuncia a trattare argomenti cruciali come la legge 40 o i vincoli ideologici imposti alla ricerca, sia per l’avarizia nel riconoscimento dei diritti della coppia. A parte obiezioni più integrali, come quelle di Ignazio Marino, c’era una convinzione larga della necessità di approfondire le posizioni del documento. Il quale fu senz’altro pubblicato un mese fa, dando luogo a una discussione sui giornali (ne trattarono qui Chiara Saraceno, Nadia Urbinati…) e suscitando qualche sconcerto in tanti esponenti del Pd che vi vedevano un testo per la discussione nel partito, e si chiedevano quando e dove sarebbe avvenuta. Si arriva così all’Assemblea romana di sabato, dedicata peraltro alla carta di intenti del Pd “sul futuro dell’Italia e dell’Europa”, in cui la presidente Bindi decide di mettere il documento ai voti. La discussione è relegata a un “gruppo di lavoro” all’ora di colazione e riservata di fatto ai membri del Comitato. Si registra là un dissenso vistoso: Marino presenterà una mozione, altri voteranno contro il documento. Per impedire questa conclusione, che sembra loro guastare il senso di una giornata che ha un altro proposito, alcuni partecipanti decidono di redigere un altro testo: sono tre paginette non polemiche che sottolineano i punti comuni e le questioni aperte, per permettere a tutti di convergervi. Ne suggerisco la lettura, in rete. Vi si dichiara “l’indivisibilità di tutti i diritti, siano essi civili, politici o sociali. Per il pieno rispetto della persona è necessario superare la logica fondata sulla gerarchia tra diverse ‘generazioni’ di diritti… Lapidazioni, stupri etnici, mutilazioni genitali, fino al non nascere perché bambine o, su un piano diverso, l’obbligo del burqa… Il traguardo dell’indivisibilità dei diritti è importante per tutti, ma per le donne è centrale… Trarre dal pensiero femminile quell’interpretazione dell’uguaglianza che dalla differenza sa ricevere impulso e compiutezza: è la premessa più solida anche nel ragionare sui diritti-doveri delle coppie omosessuali e di chi condivide nell’affetto un progetto di vita e solidarietà.
In tanti Paesi a cui ci sentiamo legati – dalla Francia agli Stati Uniti – si sono riconosciuti o ci si avvia a riconoscere i matrimoni e le adozioni per coppie gay. Molti tra noi possono essere d’accordo, altri possono non esserlo, ma il fatto stesso che altrove si legiferi in quel senso dovrebbe annullare il tabù sulle parole. Le coppie etero e omosessuali devono avere gli stessi diritti: proponiamo il pieno riconoscimento giuridico e sociale delle unioni civili per coppie omosessuali e non”. Per un sovrappiù di responsabilità – dopotutto, siamo sempre orfani dell’unanimità- gli estensori rinunciano a raccogliere le firme sotto il loro nuovo testo. Escono da lì con l’accordo che il loro testo sia presentato dalla presidente accanto al documento del Comitato, con la stessa dignità formale, e l’appuntamento a una discussione specifica in autunno. Invece in assemblea Bindi fa votare il documento del Comitato e fa passare il testo supplementare come un’appendice senza impegno.
A questo punto l’assemblea scappa di mano ai suoi controllori. Marino si indigna, c’è un malumore diffuso – avete visto tutto nelle registrazioni – in 38 votano contro. Concia, Scalfarotto e altri chiedono di mettere ai voti un ordine del giorno sul matrimonio gay al quale altrimenti avrebbero rinunciato, e Marina Sereni, che in quel momento presiede, dichiara che non è votabile perché contraddice il documento già votato del Comitato. I cavilli possono avere delle ragioni, ma devono scegliere il momento giusto. Questo era il momento sbagliato. Bagarre, vergogna, buffoni, tessere che volano, Bersani costretto a riprendere la parola e scongiurare le “nostre beghe” di fronte alle cose maggiori che premono. Fra le maggiori che premono c’è anche la necessità che un partito –dal quale, e dalle sue persone, dipende pur sempre, per chi abbia un po’ di testa sulle spalle, buona parte della democrazia di questo Paese- abbia una sua posizione su questioni che chiamano in causa il diritto delle persone e delle coppie a decidere dei loro amori e delle loro reciproche responsabilità. La Costituzione, ricordano gli estensori del testo benintenzionato di sabato, ha l’art.29, ma anche gli articoli 2 e 3. La frase: “Io sono personalmente contrario al matrimonio gay” è la più ragionevole, se significa: “Io non intendo sposare una persona del mio sesso”. Non lo è se significa: “Sono personalmente contrario a che lo facciano altri miei simili”. Non ci si arriva di colpo, certo, ci si pensa. Il conservatore Cameron, in Gran Bretagna, ci ha pensato. I repubblicani americani ci hanno pensato, e rinfacciano a Obama di riconoscere il matrimonio gay, ma a loro volta sono favorevoli all’adozione. Di Francia e Spagna si sa. All’indomani della festa guastata dell’assemblea Pd, si è scatenata la corsa all’osso. Di Pietro era pronto. Grillo no, ma si è sbrigato, e per far capire di che pasta è fatto il suo rispetto per le diversità e le libertà ha detto a Rosy Bindi che lei non sa che cos’è il vero amore.
E del resto, Enrico Letta non aveva appena sentito il bisogno di chiarire che preferisce chi voti per il Pdl a chi voti per Grillo? È estate, si dice: macché, a Natale fioccavano cazzate dello stesso calibro. La novità dell’estate sta nella crisi che peggiora, e nell’eventualità che l’alleanza con l’Udc, ben arrivata, faccia scricchiolare la fiancata dei diritti civili della barca che Bersani cerca di far approdare più o meno intera alle elezioni. Dei diritti civili, il frutto proibito.
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