Che il 25% degli elettori nelle regioni del Nord (e non solo) intende scegliere il M5S.

Sui costi della politica, il governo Monti ha già fatto quello che molti di noi chiedevano: dall’abolizione dei vitalizi (fin da ora), alla riduzione dei costi per il funzionamento della politica dei gruppi e delle assemblee regionali, al ripensamento profondo delle indennità dei consiglieri regionali. Tutto deve essere rendicontato e tutto ciò che vuole essere «morale», deve essere «pubblico».

Sulle questioni ambientali, non si può più traccheggiare: se è vero che la riduzione del consumo di suolo non è più rinviabile (e qui funzionerebbe perfettamente il «modello tedesco») e la gestione dei rifiuti sono argomenti di grande interesse, dove è giusto sperimentare, innovare, differenziare, e puntare a una cultura del rifiuto (e dello spreco, che fa rima con il punto precedente) diversa da quella che abbiamo conosciuto finora. Se anche questa Lombardia si è recentemente accorta di avere troppi inceneritori, è senza dubbio il momento di provare altre strade.

Sulle questioni che riguardano le infrastrutture, è il momento di segnare una forte discontinuità: è fin troppo tardi per riflettere sulla mobilità, che non può più essere quella autostradale che abbiamo conosciuto finora. Area C e altri esperimenti avanzati di intermodalità, di ciclabilità e di linee ferroviare tvb (treni a velocità bassa, quelli dei pendolari) devono diventare la soluzione per tutta la regione. E per tutto il Nord che pretende giustamente standard europei. Le autostrade le preferiamo informatiche.

Sulle questioni che riguardano la trasparenza e la pubblicità della vita dell’amministrazione regionale e le modalità di assegnazione degli incarichi: «facciamo le primarie, non i primari», come ripetiamo da tempo, dove non può non esserci la libera concorrenza e una meritocrazia di cui non si parla più, perché finalmente la si mette in pratica, quotidianamente.

Sul ruolo del pubblico e dei beni comuni, non si può far finta di non vedere, per rimanere in tema, la grande affermazione del referendum, che ha trovato piccolo ascolto presso la politica istituzionale, prima, durante e purtroppo anche dopo (molti si sono preoccupati di «neutralizzare» il voto referendario, piuttosto che attuarlo, attraverso decisioni conseguenti).

Sulla riduzione dei costi e il contestuale miglioramento dei servizi, dobbiamo sostenere un sistema delle autonomie locali che premi chi razionalizza, semplifica, aggrega e penalizzi chi vuole continuare a fare da solo (e non se lo può più permettere).

Sull’innovazione e sulla capacità di dare lavoro a personale qualificato, molti attendono un nuovo impulso al sistema della formazione professionale e un sostegno dell’economia orientato a favorire chi investe in ricerca e sviluppo, a chi rischia e internazionalizza, a chi innova partendo magari dal proprio settore tradizionale, soprattutto.

Ecco, credo che chi si candida a governare le regioni nel 2013, debba tenere in considerazione questi argomenti. E non banalizzarli com’è stato fatto finora. Dando per scontato che ci siano ambiti che la politica non può coprire, perché sono da ascrivere all’«antipolitica» (che è rappresentata dai politici che la chiamano così). Facendo finta di non vedere che la rivendicazione di una politica diversa è la chiave di lettura imprescindibile per chi ancora vuole salvare le istituzioni, interpretarle in modo nuovo, dare rappresentanza non solo a un sentimento diffuso, ma a linee di indirizzo che non si possono più sottovalutare. Sotto il profilo politico, prima che dal punto di vista elettorale.

E non per vincere, ma per fare bene le cose. E dare compiuta rappresentanza a chi ha trasformato la sfiducia nella politica in qualcosa di più dell’indignazione tout court. Lo ripeto da un po’, speriamo che questa sia la volta buona per dirlo e, soprattutto, farlo.

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