Piero Ignazi, oggi, su Repubblica, parla di un Pd finalmente al centro della scena politica nazionale. E pronto al salto di qualità più alto e insieme vincente, quello delle primarie dei parlamentari. E di seguito il Congresso, finalmente aperto al futuro più di quanto non lo sia mai stato. E le due cose, come ripetiamo da tempo, in tanti, tantissimi, non sono affatto disgiunte tra loro.
Il passo conseguente consiste nell’aprire le porte del partito adottando primarie, o altre forme di consultazione vincolante della base, per la composizione delle liste alle prossime elezioni. La direzione del partito può mantenere una piccola quota di posti da attribuire a sua discrezione (come è prassi in tutti i partiti europei), ma il resto deve essere affidato alle scelte degli iscritti o degli elettori.
Il secondo passo, altrettanto urgente e necessario, consiste nell’indizione di un congresso. Se i sostenitori di Renzi (e lo stesso sindaco) sono veramente intenzionati a influire sulla politica del partito e non hanno intenzione di rompere, come la forzatura sul voto al ballottaggio sembra invece suggerire, devono passare attraverso il partito, vale a dire combattere una battaglia interna per la conquista delle cariche. Sulle ali di questa mobilitazione arriveranno certamente al vertice facce nuove, dell’una e dell’altra parte, entrambe slegate dalle vecchie fedeltà ai vecchi schieramenti.
In pochi mesi il Pd ha l’opportunità di cambiare volto a sé stesso e alla politica italiana. Lo sbandamento della destra, l’irresolutezza dei centristi e l’aria fresca di Renzi offrono una chance irripetibile sia per un nuovo, vero Partito democratico, che per innescare un ciclo elettorale positivo di lunga durata. Ma la pulsione autodistruttiva è dura a morire.
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