Mi scuso fin d’ora con l’autore di un bel romanzo che Einaudi ha recentemente pubblicato.
Non si può però non notare che, fin dalla manchette (il coniglio ruggisce ancora), che rinvia a una celebre trasmissione radiofonica (di cui l’autore è autore, appunto), il libro è carico di senso politico. E non in modo banale.
Perché il piantagrane è un comune cittadino che attraversa il Paese. E lo rende migliore, senza fare nulla: soltanto passando accanto alle cose che non vanno. Ed è per questo che i servizi gli danno la caccia. Perché lui è, inconsapevolmente e senza il minimo accenno di eroismo, il cambiamento. E come il cambiamento, anche il piantagrane non è prevedibile. Ed è forse la non prevedibilità, se ci si pensa, il vero tratto del cambiamento. Soprattutto di quelle ipotesi di cambiamento che poi cambiano le cose. Proprio perché nessuno se lo aspetta.
Il piantagrane cura le piante, nella vita, piante che parlano e lo fanno apparire un po’ vegetale, di rimando, ha una quasi-fidanzata che si chiama Nina e che raccoglie la spazzatura, e mai si sognerebbe di avere una funzione rivoluzionaria. Anzi, con tutti i guai che questa le procura, ne farebbe volentieri a meno.
Leggendo quelle pagine, ci si fanno parecchie domande. E si spera che il piantagrane passi anche dalle nostre parti. E magari non da solo. Perché ci vorrebbe una pattuglia, di piantagrane, qui da noi. Di cui nessuno, beninteso, aspetti, e nemmeno sospetti, l’arrivo.
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