Certamente il M5S prenderà molti voti anche alle elezioni politiche del 2013, perché alle cinque stelle corrispondono le mille incertezze della politica istituzionale, e il cielo dell’economia italiana è parecchio nuvoloso e la politica non sembra scorgere nemmeno l’orsa maggiore, in questo momento.
Detto questo, vorrei ripercorrere le ultime esternazioni di Grillo, che ha scelto toni prima leghisti, poi da destra vera e proprio nel corso dell’ultima campagna elettorale.
Forse perché ha compreso che, dopo i voti recuperati soprattutto a sinistra, nella fase che stiamo attraversando ce ne sono parecchi da recuperare anche dall’altra parte.
Ecco i temi frequentati nell’ultima campagna elettorale: la proposta di uscire dall’euro e, sostanzialmente, di fare default; un certo riferimento alla rivolta fiscale, con toni molto vicini a quelli un tempo adottati dalla Lega; il duro confronto con Napolitano,
con la citazione dei «fucili partigiani» da imbracciare nuovamente; il confronto tra la politica di chi governa il Paese e la mafia, con la prima che si comporterebbe peggio della seconda, perché «strangola» le persone (la mafia, invece).
Poi ovviamente ogni dichiarazione è stata precisata, come farebbe qualsiasi politico navigato. Però intanto si è valutato “l’effetto che fa”. E allora chi segue la politica pensa che vadano benissimo il wi-fi, la rete, il consumo di suolo, e l’ambiente dimenticato, e la critica alla partitocrazia. E il limite dei mandati. E le liste pulite. E il no ai vitalizi. E che la partecipazione dei giovanissimi alla mobilitazione dia un bel volto a questa indignazione e alla richiesta di spazi democratici più aperti e inclusivi.
Il pericolo è però che il disegno stellare di Grillo si stia componendo in una costellazione che assomiglia a quella di un nuovo (ma antichissimo) animale politico, che è insieme il più grande paradosso della politica italiana d’ogni tempo: quell’animale che tutto vuol cambiare e che, consapevolmente o inconsapevolmente, sta facendo di tutto perché nulla cambi.
Ecco che cosa può comportare un’azione che mira a distruggere tutto quanto, a confondere le posizioni di ciascuno in un grande guazzabuglio, senza rendersi conto (o, forse, rendendosene conto perfettamente) degli effetti a cui può portare un movimento impetuoso che adotta tutti gli argomenti possibili, con l’uso più spregiudicato e forzato della parola pubblica, per fare breccia, a qualsiasi costo (in termini politici), in un elettorato sempre più confuso.
Questa non è antipolitica, è politica, e spero sia chiaro una volta per tutte. Ed è una politica che, se non si chiariranno alcuni elementi essenziali della sua proposta, al termine del ‘processo’ favorirà i difensori dello status quo. E le cause giuste si perderanno in un frastuono che finirà con il giustificare i tappi infilati da tempo nelle orecchie dell’attuale classe politica.
Tratto da La rivendicazione della politica, scritto nell’agosto del 2012 (lo trovate qui a fianco).
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