La consulta congressuale del Pd, a cui si accede sulla base della propria adesione a questa o a quella corrente (Linneo docet), sta discutendo delle regole per il Congresso.
Dibattiti così avvincenti non si ricordano, nella storia patria, se non forse quando il Paese si trovò a scegliere tra monarchia e repubblica.
Pensate: il tema è se fare i congressi locali solo con gli iscritti oppure no. E se farli prima, slegandoli dal Congresso nazionale (per altro, i candidati ci sono già, ma non importa).
Cavoli, robe da non dormirci la notte, mentre tutta l’Italia attende la decisione come se stesse aspettando il tiro dell’ultimo calcio di rigore della finalissima del campionato del mondo.
In compenso, nessuno ha notato che per cambiare le regole, ci vuole una larga maggioranza in assemblea. Che probabilmente non c’è.
Che sarebbe il colmo, discuterne da due mesi, e arrivare a non avere la maggioranza in assemblea.
Le regole ci sono, come ripeto da sempre. Cambiarle ora è molto discutibile e si presta inevitabilmente a letture maliziose. Usiamo quello che c’è e parliamo di politica. Senza pensare che uno schema favorisca l’uno o l’altro. Perché abbiamo cose più importanti da dire e da fare. Mi pare.
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