Così scrivevamo, con Rita Castellani, nel giugno dello scorso anno in occasione della dichiarazione di fallimento delle società della famiglia Ligresti:
Il Wall Street Journal, commentando la chiusura della vicenda Fonsai – Unipol di cui abbiamo parlato qui, iniziava la sua analisi con la seguente considerazione: “Se pensavate che guidare in Italia fosse pericoloso, provate ad essere azionisti della più grande società assicurativa di autoveicoli del paese”. Il riferimento era al fatto che il progetto di fusione non tiene in nessun conto i piccoli azionisti ed è anzi molto probabile che li danneggi, a tutto vantaggio dei grandi, la famiglia Ligresti, e delle banche loro creditrici.
Abbiamo appreso poi che solo la minaccia delle banche di rifarsi sulle azioni detenute in pegno ha convinto i Ligresti a votare a favore della proposta Unipol, ma continuando a porre come condizione di poter esercitare i diritti di manleva (sostanzialmente, scarico delle responsabilità di carattere civile) e di recesso, fino alla chiusura della complessa operazione. Diritti che la Consob (la Commissione di Controllo della Borsa) ha esplicitamente negato per dare il nulla osta all’acquisizione da parte di Unipol, in assenza di Offerta Pubblica.
Oggi la Procura di Torino ha rotto gli indugi per la parte di competenza (per la parte più cospicua e complessa, che coinvolge direttamente i vertici di Mediobanca, si attendono i rilievi della procura di Milano) relativa al buco di 600 milioni euro, accreditati nel Fondo Sinistri di Fonsai, e girati invece surettiziamente alle società offshore della Famiglia Ligresti, che le hanno usate per operazioni di aggiotaggio, cioè per sostenere con acquisti mirati il titolo della controllante di Fonsai, Premafin, anch’essa in capo alla famiglia Ligresti.
Attualmente Premafin è una holding di partecipazioni del gruppo Unipol, come leggiamo nel sito della società, in seguito ad un’operazione di compravendita, passata tutta fuori dal mercato con la benedizione della Consob, fortemente voluta da Mediobanca e dalle altre banche creditrici dei Ligresti. Unipol ci ha messo fondi cash, come solo una grande assicurazione può ancora offrire in Italia. E non sono mancati i risentimenti nel vasto e operoso mondo delle cooperative di produzione, che alla costituzione di quei fondi hanno largamente contribuito e si ritrovano oggi, come tutte le piccole imprese italiane, soffocate dalla stretta creditizia di quelle stesse banche “graziate” da Unipol.
Pensavate che fosse bastata questa grazia? Non sembra, se Mediobanca cede il 4% di Assicurazioni Generali e rinuncia a mantenere il suo peso nella ricapitalizzazione di Rcs, la holding dell’editoria che controlla il Corriere della Sera. Lasciando il passo ad un altro operatore in grande salute finanziaria: Fiat. Del resto, considerando che tiene da anni una buona parte dei suoi stabilimenti in Cassa Integrazione, di risparmiucci deve averne fatti parecchi.
La domanda che conta: sulle spalle di chi cadranno quei 600 milioni di debiti occulti, visto che, avendo pagato le banche, i Ligresti risultano ufficialmente nullatenenti? Ma sui piccoli risparmiatori, ovviamente, che sono tra le categorie meno tutelate in questo paese, che pure contribuiscono significativamente a tenere in piedi.
Un paese a rovescio. Con tutte le cose che vanno, come è ovvio aspettarsi, a rovescio.
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