Ieri a Ravenna, di fronte a centinaia di persone, la domanda delle domande che mi è stata formulata in vari modi è la seguente: che cosa dici tu che gli altri non dicono?
La prima cosa: il governo delle larghe intese, a prescindere dalla maledettisima decadenza, non può durare due anni. Si può e si deve votare a marzo, dopo legge elettorale e legge di stabilità, e se non avessimo buttato via quattro mesi a parlare dell'Imu e quasi due a parlare della condanna di Berlusconi, il risultato lo avremmo già. Nel Pd, così chiaramente, l'ho sentito dire solo da Goffredo Bettini. Gli altri prendono tempo. Personalmente lo dico dal primo giorno di questa strana avventura.
La seconda: con Sel bisogna fare un unico soggetto politico, che recuperi tutti i pezzi dispersi del centrosinistra, le generazioni di delusi e di disaffezionatissimi, per costruire finalmente un partito che vada da Prodi a Rodotà, e recuperi quei milioni di voti che abbiamo perso perché ci siamo posti la questione del cambiamento in modo radicale e comprensibile solo dopo la fine della campagna elettorale. Vendola che ne pensa? Gli va di rischiare e di estendere a una platea più ampia le sue posizioni, o tutto sommato gli va bene così?
La terza: ci vuole discontinuità con il passato, per quanto riguarda la nostra rappresentanza, la struttura interna, la rete da costruire con i nostri elettori, il superamento delle gerarchie burocratiche, un cambiamento nella gestione del potere, un rinnovamento profondo e soprattutto culturale. Niente 101, banche, fondazioni, correntismi di ogni sorta. Chi è competente e libero, anche se vota altri candidati, sarà sempre promosso, nel Pd che ho in mente. È d'altra parte un po' difficile cambiare tenendosi tutto quello che c'è. E personalmente preferisco avere nessuno dietro e molte persone davanti.
La quarta: c'è bisogno di investire sul leader e però sul partito. La contrapposizione è farlocca: ci vuole l'una e l'altra cosa. E investire nel partito significa fare in modo che gli elettori e i militanti siano considerati alla pari dei dirigenti e degli strateghi, siano informati, possano discutere e decidere insieme a tutti quanti sono interessati. Significa costruire un soggetto politico profondamente ripensato che ospiti la discussione che attraversa la società italiana, i suoi movimenti, le cose nuove che emergono. Che intorno a questi temi emergenti, organizzi un dibattito e offra un percorso per portarli al governo. Significa elaborare e studiare, con meno ossessione per la dichiarazione di domattina e più impegno per descrivere un futuro diverso. Significa prendere posizioni che magari non sono già maggioritarie, ma lo possono diventare, e riconoscere le posizioni che sono già maggioritarie ma che la politica sembra non voler vedere, con una ostinazione pari solo al desiderio di autoconservarsi. Sono cose che sostengo da sempre e che hanno accompagnato tutti i miei precedenti 'tentativi' di cambiare il Pd, la sua politica e il Paese che ci candidiamo a governare.
Scusate se è poco.
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