Ho letto con piacere il libro di Fabrizio Barca, La traversata. Una nuova idea di partito e di governo, recentemente pubblicato da Feltrinelli, che riporta in copertina l'immagine del cantiere che riprende la Tecla di due post più sotto.
Con Barca discuto da tempo del partito e del governo, da molto prima che iniziasse il suo viaggio in Italia e nel Pd e che ci offrisse il suo documento e la sua elaborazione.
Ci sono cose che dico e che cerco di fare da tempo, in ciò che Barca scrive. In quel partito che si cimenta nel dialogo, nel confronto e nel conflitto, come cercammo di fare in piazza, a Bologna, tra governo e movimenti, nell'autunno del 2011. In quel partito che discute e che delibera, come proponemmo nei nostri referendum dello scorso anno, che purtroppo i candidati di allora presero in scarsa (per meglio dire, nessuna) considerazione (eppure parlavano di reddito minimo, contrasto della corruzione, consumo di suolo, matrimoni gay). In quel partito che trova una misura con la gestione del potere ed è soprattutto luogo di elaborazione e di proposta, capace di offrire al Paese soluzioni che non ci sono (o non sono ancora state valutate dalla politica che ci rappresenta o ci dovrebbe rappresentare). In quel partito a rete che, al di là delle segreterie e delle gerarchie e delle oligarchie (soprattutto), metterebbe immediatamente in comunicazione il ragazzo di Verbania che vuole approfondire il tema dei rifiuti con l'esperto assessore che conosce la norma, per fare un esempio, perché insieme scoprano qualcosa di nuovo.
Sono tutte cose che non sostengo da oggi e non mi interessa che cosa farà Fabrizio Barca al Congresso: so che, come me, ha un giudizio critico sul recente passato della sinistra italiana e pensa che ci voglia un partito profondamente rinnovato anche nelle persone che lo devono rappresentare, e tanto mi basta. La sua «agenzia per la produzione di idee» la farei diventare la Fondazione del Pd (quell'unica fondazione di cui abbiamo bisogno che non sia, per ovvi motivi, come le attuali, in cui ciascun leader si costruisce il proprio comitato elettorale, a dispetto del lavoro comune che tutti dovremmo fare). E il principio per cui uguaglianza e concorrenza leale si richiamano, come spiega diffusamente nei suoi testi, l'ho già fatto mio da tempo, in un'idea di sinistra non proprietaria, sana perché conflittuale e non fintamente unanimistica, che superi il falso dilemma partito liquido vs. partito solido, con cui ci siamo ammorbati in questi anni. Ci vuole un partito organizzatissimo perché sia relazionale e capace di includere chi non ne fa parte. Punto.
La cosa che mi preme è che quel partito che si mobilita e fa mobilitare di cui parla Barca, e che io da tempo definisco «partito ospitale», che riconosce la propria parzialità rispetto al resto della società, e che sa accogliere e organizzare in un dibattito razionale e comprensibile le pulsioni e le mozioni di cambiamento che provengono dalla società, si veda fin da ora. Che non sprechiamo anche questa occasione per parlarne, che iniziamo a misurare fin da questo Congresso la capacità propositiva che tutti diciamo di avere.
Alla «traversata» di Barca rispondo che stiamo attraversando già, in ragione di uno slogan che è stato preso giustamente di mira dalla satira («le cose cambiano, cambiandole»), ma che dà l'idea che il processo e il risultato si richiamino (nel senso della Fenomenologia, non della decadenza, per capirci).
Il futuro nel Pd diventa passato: è accaduto troppo spesso. E il clima di sfiducia che ci accompagna da mesi (e che continuiamo a rinverdire, con le mosse che ormai conosciamo) va superato con il contributo di tutti.
Caro Fabrizio, attraversiamo insieme. Sappiamo che queste larghe intese si superano solo con pensieri e azioni e iniziative e parole di lungo periodo. Troviamole, in questi mesi, altrimenti parleremo di cose che a me non interessano e che lasceranno il tempo che trovano. Molto nuvoloso, con il rischio di rovesci (ripetuti), e un vento che soffia, ma lontano da noi.
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