Sono passati più di sei mesi dalle elezioni di febbraio. E il M5s è, sotto il profilo politico, ancora alla finestra, come ha notato Gad Lerner qualche giorno fa.
Certo il Pd ne ha sbagliate molte, da aprile in poi. Dal mio punto di vista, quasi tutte quelle importanti.
Oltre alla vicenda del Presidente della Repubblica, le ambiguità hanno caratterizzato tutto il suo percorso, in particolare nei riguardi del governo del cambiamento (e del concetto di cambiamento in generale), come ha detto Fico ieri sera a Che tempo che fa, e come spiega molto bene Luigi Bruschi in questo pezzo.
Mi chiedo però se il M5s non abbia contribuito, mi auguro inconsapevolmente, a questo stato di cose: perché tutta la sua energia e la sua voglia di ribaltare tutto quanto, che in questi anni ho seguito con curiosità e senza snobismo, non ha fatto altro che consolidare quello che c'era già. Rafforzandolo fino alla situazione in cui ci troviamo.
Il fatto di non voler mai entrare in gioco, per una sorta di purismo politico, è legittimo, ma legittima anche il percorso di tutti gli altri. Che non aspettavano niente di meglio, anzi, se lo auguravano proprio che il M5s facesse così. Hanno ancora le dita incrociate.
Anche perché avere tolto di mezzo la spinta – forsennata e disordinata, in molti casi, ma vitale – al cambiamento, ha indebolito tutti quelli come me che in uno schema diverso avevano creduto sinceramente, come anche Andrea Scanzi ha recentemente spiegato.
La partita in Parlamento perciò è finita prima di cominciare.
Ciò che mi chiedo ora è che cosa pensano quelli che, provenendo dal Pd (e sono un'infinità, milioni di elettori democratici), hanno votato il M5s per darci un «segnale», così mi hanno spiegato in molti. Un segnale consapevole e studiato, dettato dalla delusione ma anche dalla passione per il cambiamento e per la politica, che noi abbiamo fin troppo smorzato (e continuiamo a farlo, sempre di più).
Che cosa pensano di fare d'ora in poi, dal momento che il segnale ha avuto l'effetto contrario? Perché il Pd come lo conosciamo oggi non solo non l'ha ascoltato, ma si è proprio girato dall'altra parte (espressione da intendersi non solo in senso metaforico). Perché il M5s non ha voluto spendere direttamente i suoi voti, sedendosi dalla parte di una ragione che anche se fosse tale non ha alcun effetto, se non quello esattamente contrario, su quello che succede in Parlamento.
Certo, i segnalatori possono continuare a votare il M5s, e i sondaggi – per quello che valgono – confermano che questo è l'atteggiamento prevalente. Possono attendere le prossime elezioni politiche, quando saranno, e dare un altro segnale. E poi un altro ancora. Rimproverando al Pd di non essere migliore, di non fare quello che dovrebbe.
Oppure possono provare ad ascoltare quel «segnale» che questa volta proviene da una parte del Pd che si candida a cambiare la sua politica, a ricostruire il centrosinistra, a riprendere l'alleanza elettorale che è saltata ad aprile, a considerare finalmente come protagonisti «quelli che si muovono», in questo Paese, e che fanno politica fuori dal Palazzo e dalle sue logiche. Senza ambiguità, senza retropensieri, senza alcuna opacità.
Il segnale, insomma, che diamo noi, in previsione delle primarie dell'8 dicembre, risalendo la storia delle delusioni del Pd e del centrosinistra per dare un nuovo corso a tutto quanto. Che poi era quello per cui avevamo votato a febbraio, e il senso di quel segnale, non è così?
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